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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2011 alle ore 08:45.
L'ultima modifica è del 09 novembre 2011 alle ore 09:45.

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Con la lira, o la dracma, italiani e greci stavano meglio che con l'euro? Politici ed economisti dicono di no, ma tra la gente comune la domanda riscuote di questi tempi più risposte affermative che negative. La risposta che viene dall'Europa è invece opposta: l'euro non è una porta girevole. E per rafforzare il messaggio, spiegano che nei Trattati la possibilità di uscire dal club non è stata nemmeno contemplata. E qui viene lo sbaglio. Invece di dire che non è possibile perché vietato, l'Europa, la politica e gli economisti farebbero bene a descrivere alla gente che cosa succederebbe ai loro redditi e risparmi nel «day after» di un'uscita dall'euro: l'apocalisse finanziaria.
I docenti di storia economica raccontano che in passato altre unioni monetarie si sono disciolte, a cominciare dalla moneta unica americana alla vigilia della guerra civile del 1861. Ma quelli erano altri tempi. Più vicina e comparabile è invece la rottura dell'unione monetaria Austro-ungarica del 1919: la separazione avvenne ristampando sulle banconote dismesse il valore della valuta da reintrodurre, ma alcune zone dell'impero imposero ai cittadini prestiti forzati a favore dello Stato, controlli sui capitali e soprattutto sui viaggi all'estero in modo da impedire la fuga dei risparmiatori con valige piene di denaro da cambiare al più presto in altra valuta estera pregiata.

In teoria la Grecia o l'Italia, se volessero uscire dall'euro, potrebbero dunque fare altrettanto. Con il controllo sui movimenti di capitale e sui viaggi in Paesi esteri, i rispettivi Governi potrebbero avere il tempo di ristampare gli euro e di convertirli in nuova carta moneta. Il problema è che per arrivare a questo obiettivo servirebbero altre due misure da panico: il congelamento dei conti correnti fino alla loro conversione nella lira o nella dracma, che avverrebbe ovviamente con un tasso di cambio deciso del tutto arbitrariamente dalle autorità. E qui viene fuori un altro mostro: alle prime indiscrezioni su un ritorno alla vecchia valuta, la gente prenderebbe ovviamente d'assalto le banche per ritirare i depositi in euro e portarli all'estero prima che la banconote vengano ristampate. Chiudere le frontiere fino al change-over, una misura che era possibile nel 1919 ma che è oggi espressamente vietata dai Trattati europei, non sarebbe insomma sufficiente a evitare il caos. E ancora: per poter operare la conversione dei salari e dei redditi nella nuova valuta, il Parlamento dovrebbe approvare delle leggi ad hoc, che alla luce della drammatica perdita di valore sarebbero quanto minimo impopolari. Per i prestiti nazionali - dai mutui alle carte di credito - si profilerebbe poi un terremoto: i debiti dovrebbero essere immediatamente ridenominati nella nuova valuta in modo da evitare un'ondata di bancarotte istantanee delle famiglie, che vedrebbero il loro debito invariato ma i loro redditi ridotti al minimo per il ridottissimo valore delle nuove banconote.

I debitori privati - comprese le banche, che andrebbero immediatamente ricapitalizzate - non sarebbero invece in grado di convertire i loro debiti all'estero con la nuova valuta (chi mai direbbe sì alla dracma?) andando così quasi subito in bancarotta o default. Il contenzioso internazionale, ovviamente, esploderebbe. Il Governo, da parte sua, non starebbe meglio: impossibilitato ad andare sui mercati, e probabilmente snobbato dai vecchi partner europei, dovrebbe azzerare immediatamente il deficit, sospendendo di conseguenza il pagamento degli interessi ai creditori.
C'è infine una questione ancora più esplosiva: la sorte dei titoli di Stato. In linea teorica, il valore dei bond potrebbe tranquillamente essere riconvertito nella nuova valuta. Ma in base all'accordo europeo firmato dalla Grecia con le banche creditrici, il taglio del 50% nel valore del debito greco è stato accompagnato da un prudenziale trasferimento di "residenza" del debito di Atene: a regolare il contratto non sarà più il diritto greco, ma il diritto anglo-sassone. La ridenominazione dei titoli di Stato, insomma, non sarebbe possibile, mentre i crediti concessi dall'Europa alla Grecia resterebbero denominati in euro. Come se tutto ciò non bastasse, si aggiunge il caos del commercio e della vita di tutti i giorni: i negozi dovrebbero cambiare tutti i registratori di cassa, i computer andrebbero riprogrammati e persino le macchinette distributrici di bevande, tabacchi e altri generi sarebbero ritirate dal mercato per essere poi sostituite per accettare la nuova valuta.
Se pensare di uscire dall'euro è insomma un errore, farlo sarebbe una tragedia.

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