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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2011 alle ore 07:40.
L'ultima modifica è del 11 novembre 2011 alle ore 09:07.

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Probabilmente era davvero difficile immaginare che la crisi europea potesse aggravarsi, ciò nonostante è appena accaduto. Al loro recente summit i leader della Ue hanno mancato il loro obiettivo di approdare ad alcunché di concreto. Cina e Brasile sono comprensibilmente riluttanti a farsi avanti e a tendere una mano con una consistente iniezione di liquidità in valuta straniera. E il vertice del G-20 a Cannes non ha portato ad alcun accordo utile a fare passi avanti per risolvere la crisi.

La formazione di un nuovo governo di unità nazionale in Grecia non significa che il problema sia alle spalle. Al contrario: la posizione del nuovo governo non sarà maggiormente difendibile di quella del governo che l'ha preceduto. Finché c'è la speranza, per quanto remota, che la Grecia possa riprendere a crescere, tuttavia, il problema non sparirà. Con conseguenze ancora più gravi per la stabilità finanziaria, l'annuncio da parte di Papandreou di un referendum ha fatto sì che la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy infrangessero un importante tabù. In precedenza i leader europei avevano dichiarato che l'euro era per sempre, ripetendo a ogni imprevisto che avrebbero fatto tutto ciò che era possibile per far durare l'unione monetaria. La settimana scorsa, con un'iniziativa pericolosa, Merkel e Sarkozy senza tanti giri di parole hanno detto ai greci che dipendeva da loro decidere se intendevano tenere l'euro.

Le loro dichiarazioni erano state preparate allo scopo di indurre alla sottomissione i politici greci e, almeno per il momento, pare che abbiano centrato il bersaglio. Hanno però spalancato altresì le porte a una destabilizzante ipotesi. La tentazione di scommettere contro la continuazione della partecipazione greca all'euro è oggi più forte che mai. E a mano a mano che gli investitori puntano le loro scommesse, i bilanci delle banche greche e del governo greco non faranno che peggiorare, al punto che queste aspettative al ribasso potrebbero anche finire col realizzarsi da sole.

Il rischio più grave è che là dove è diretta la Grecia, ben presto potrebbero essere costretti a dirigersi anche Portogallo e Italia. Chiunque ne dubiti farebbe bene a ritornare col pensiero al 1992, quando il Sistema monetario europeo si disgregò. Nel settembre di quell'anno il presidente della Bundesbank Helmut Schlesinger fece alcuni commenti avventati su come «non si potessero escludere» alcune svalutazioni nell'ambito del sistema europeo dei tassi di cambio, che si presumeva fossero stabili. Le irresponsabili osservazioni di Schlesinger fecero capire che la Bundesbank non era disposta a fare tutto ciò che era necessario per mantenere in vita il sistema - segnale che incoraggiò gli investitori a scommettere in modo pesante contro la sterlina britannica e la lira italiana. Ne risultò il disfacimento del meccanismo europeo di cambio fisso.

Se Merkel e Sarkozy sono seri riguardo alle loro intenzioni di salvare l'euro, dovranno porre rimedio ai danni fatti con le loro osservazioni sconsiderate. Dovrebbero quindi ammettere che l'unica entità effettivamente capace di stabilizzare la situazione è la Bce, e dovrebbero poi dare a quest'ultima la copertura necessaria a fare tutto ciò che è necessario per salvare l'intero sistema. Nello specifico, la Bce dovrebbe fare di gran lunga di più per sostenere la crescita economica: la sua decisione di tagliare i tassi di interesse di 25 punti base alla prima sessione indetta sotto la nuova presidenza di Mario Draghi è un raggio di luce in un cielo altrimenti sempre più cupo. Ma 25 punti base sono soltanto una goccia nel mare. Tenuto conto che l'Europa è avviata alla recessione, il pericolo di alzare l'inflazione è nullo. Nondimeno, vista la sensibilità tedesca, Angela Merkel dovrebbe rassicurare la sua opinione pubblica dal suo autoritario pulpito.

Cosa alquanto più controversa, la Bce deve aumentare l'acquisto di bond italiani: nel caso in cui il rendimento di tali bond non arrivasse ai livelli di quelli tedeschi, non c'è modo alcuno in Italia che consenta alle cifre nude e crude di quadrare. Draghi però ha fatto capire di essere riluttante a considerare che la Bce possa diventare prestatore nei confronti dei governi. Rassicurare i mercati con l'adozione di riforme strutturali - ha osservato - è in senso stretto una responsabilità dei governi stessi, non della banca centrale.

Ma le riforme strutturali non si possono fare dalla sera alla mattina: all'Italia serve tempo per concretizzare le proprie riforme propizie alla crescita. E non avere a disposizione quel tempo suonerebbe come un rintocco funebre per l'euro. Ed ecco dove la copertura politica potrebbe entrare in campo sul serio: Merkel e Sarkozy devono difendere le ragioni per le quali, se l'euro deve diventare una valuta normale, all'Europa occorre una banca centrale normale, ovvero una banca che non si limiti esclusivamente a prendere di mira l'inflazione come un automa, ma che comprenda anche le proprie responsabilità di ente prestatore di ultima istanza.

Nel frattempo l'Italia, che è ormai nell'occhio del ciclone, deve assolutamente procedere alle riforme che favorirebbero la crescita per rassicurare gli azionisti della Bce che l'acquisto dei bond della banca centrale non è a perdere. Se ci riuscirà, forse - ma solo forse - ci sarà motivo di sperare che l'ora più buia del progetto europeo possa preludere al sorgere di una nuova alba.

(Traduzione di Anna Bissanti)
© PROJECT SYNDICATE, 2011

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