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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2011 alle ore 08:50.

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Se sarà davvero Mario Monti, come tutto lascia ritenere, a guidare un nuovo governo lo sapremo nelle prossime ore. La gestione della successione a Silvio Berlusconi è di fatto nelle mani di Giorgio Napolitano. E sono ottime mani, cui possiamo guardare con fiducia e con gratitudine per quello che il capo dello Stato sta facendo in questi giorni.

Ieri Il Sole 24 Ore ha aperto con un titolo - rilanciato immediatamente sulle testate e i siti di tutto il mondo - a caratteri cubitali: «Fate presto». È quello che il capo dello Stato sta facendo. E un primo riconoscimento alla sua azione è venuto ieri dai mercati finanziari. L'asta dei BoT ha visto pagare un alto rendimento, ma ha di fatto tenuto, grazie a una domanda elevata. Lo spread è sceso da 552 a 516 punti. Il BTp decennale è calato al 6,89%. L'indice Ftse Mib della Borsa di Milano ha chiuso con un +0,97%, facendo registrare il miglior risultato in Europa.

L'ipotesi Monti piace. È un fatto. Ma soprattutto piace la prospettiva che in Italia si stiano rapidamente creando le condizioni per adottare quelle riforme strutturali di cui il Paese ha bisogno. Lo ha detto per tutti il presidente Usa Barack Obama, esprimendo la sua fiducia in Napolitano «per la messa in piedi di un governo ad interim che attuerà un programma di riforme aggressivo e riporterà fiducia sui mercati».

Comunque la si pensi, infatti, da domani, con le annunciate dimissioni di Berlusconi, si aprirà una finestra temporale di straordinaria opportunità per mettere in atto la più radicale revisione dei fondamentali dell'ordinamento economico (e perché non anche istituzionale?) italiano. Una finestra di un anno e mezzo. Fino alla naturale scadenza della XVI legislatura. Uno spazio di tempo in cui le ragioni del consenso immediato della politica debole potrebbero lasciare spazio alla responsabilità di un esecutivo che avrà la "salvezza" dell'Italia (perché, è chiaro, di questo si tratta ormai) come obiettivo prioritario.

Non un governo tecnico. Perché, come è stato detto, ogni esecutivo che ha una sua maggioranza parlamentare è politico. Ma soprattutto perché per fare le riforme necessarie servirà la politica. Eccome se servirà. Mettere d'accordo, intorno al programma draconiano che l'Europa ci chiede, un Paese fortemente diviso come il nostro, ottenere il via libera dei sindacati e delle imprese, dei lavoratori pubblici e degli autonomi, sarà un'impresa che richiederà raffinate doti politiche. Napolitano lo sa. E di sicuro ne terrà conto nel promuovere una squadra di governo equilibrata tra competenze tecniche e risorse politiche.

Il primo ad essere consapevole dell'imprenscindibilità della politica, del resto, è lo stesso premier in pectore Mario Monti. Lo dicono le sue parole: «La crescita richiede riforme strutturali che rimuovano i privilegi che praticamente tutte le categorie sociali hanno», il punto è che «ognuno tende a difendere la propria circoscrizione elettorale» e questo rende politicamente più difficili le riforme.

Il governo che si formerà potrà mettere più in secondo piano le «circoscrizioni elettorali», ma dovrà comunque convincere le agguerrite «categorie sociali» - che spesso in Italia assumono la meno nobile attitudine alla difesa del «particulare» tipico delle corporazioni - che è giunto il momento di rinunciare ai propri «privilegi».

Per questo servirà la politica, l'alta politica. E servirà mettere in chiaro, sin da subito, che i sacrifici investiranno tutti, senza risparmiare nessuno. E che chi ha di più potrà e dovrà contribuire di più. L'equità sarà il primo viatico per il successo del programma di riforme che il nuovo governo ha davanti.

Questo vuole anche dire che l'architettura degli interventi dovrà essere ampia e coerente. Non basterà la riforma delle pensioni e non basterà la riforma del mercato del lavoro, così come non basteranno un riassetto fiscale o l'introduzione di una patrimoniale. Servono l'abolizione delle pensioni d'anzianità e la lotta all'evasione fiscale, meno rigidità sui contratti di lavoro a tempo indeterminato e maggiori tutele per i precari, un fisco più orientato alla crescita e un prelievo sulla ricchezza "statica", un mercato più libero e uno Stato più leggero, una pubblica amministrazione più efficiente e una politica più parca.

Serve ciascuno di questi interventi e serve l'insieme di questi interventi. Il sacrificio di ognuno dovrà trovare corrispondenza nel sacrificio del suo vicino. Solo così l'Italia dell'euro potrà essere rifondata. E per farlo sarà richiesta competenza tecnica e capacità politica. Un vasto programma, certamente. Ma proprio per questo è importante cominciare subito. Fate presto, dunque, e fate bene.

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