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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2011 alle ore 07:55.
L'ultima modifica è del 11 novembre 2011 alle ore 09:03.

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Rallenta il polso dell'economia di Eurolandia, ormai sfiora la stagnazione e presto potrebbe diventare recessione, annuncia Bruxelles. Frenano tutti i membri del club e, tra i grandi, la Germania più degli altri.
Pessimo segnale mentre la casa dell'euro brucia sotto l'assalto dei mercati. Né a fermare il fuoco bastano la nomina del nuovo Governo in Grecia e l'imminente cambio della guardia in Italia.

L'incendio comincia invece a lambire anche la Francia. Mai come ora buon senso vorrebbe che i 17 serrassero i ranghi per scongiurare il disastro. Invece no. Il direttorio tedesco-francese non sembra trovare niente di meglio che progettare nuove divisioni dentro e fuori dalla moneta unica. Evocando persino la nascita di un piccolo euro tra i soli Paesi tripla A (Germania, Francia, Olanda, Austria, Finlandia e Lussemburgo). Salvo smentire categoricamente, appena le sue manovre diventano di pubblico dominio.

Intendiamoci: non è la prima volta che l'Europa rompe le righe di fronte alle crisi. Questa volta però la tentazione separatista deve essere molto più prepotente del solito se José Barroso ieri si è sentito in dovere di lanciare l'allarme: «Il crollo dell'euro - ha avvertito il presidente della Commissione Ue - costerebbe inizialmente il 50% del Pil ai suoi membri e il 3% oltre a un milione di disoccupati alla sola Germania».

Nessun tipo di divisione dell'Unione potrà funzionare, neanche «una che preveda un nucleo integrato e il disimpegno in periferia». Visto il profondo grado di interdipendenza che lega ormai le economie dell'euro, la logica del "si salvi chi può" promette insomma di far male prima di tutto a chi vorrebbe praticarla. Con imprevedibili effetti boomerang. Che sono già cronaca.

Non si scherza con il contagio. Tanto è vero che un problema potenzialmente marginale come la Grecia (2% del Pil dell'Eurozona e 3% del debito totale) è in breve diventato centrale e finora ingovernato nella zona euro. L'Italia sembrava al riparo e invece è finita nell'occhio del ciclone. A dispetto di fondamentali buoni, come confermano i dati pubblicati ieri dalla Commissione Ue, fonte certo non sospetta. Il nostro deficit (2,3% nel 2012 e 1,2% nel 2013) è meno della metà di quello francese (5,3% e 5,1%).

L'avanzo primario è da record (3,1% e 4,4% contro 1,3% e 1,5% della Germania) a fronte del disavanzo francese (-2,5% e -2,1%). Il debito resta macroscopico ma in calo (120,5% e 118,7%) mentre quello di Parigi salirà dall'89,2% al 91,7%, superando la media euro, ormai al 90,4 per cento. Senza contare che il nostro è debito essenzialmente detenuto in casa, il 70% di quello francese è in mano estera. Anche nei saldi dei conti correnti, uno dei polsi della competitività, facciamo un po' meglio che Oltralpe. Certo, la nostra crescita economica resta catatonica però di questi tempi nemmeno Francia e Germania brillano. Il che rende le nostre riforme strutturali più urgenti che mai.

Molto meno comprensibile invece, anche facendo la tara della malapolitica, il pauroso allargamento degli spread sui nostri titoli di Stato rispetto al Bund tedesco. A riprova però che in questa bufera nessuno può illudersi di farla franca; la Francia, che aveva sperato di ripararsi dietro le nostre fragilità per nascondere ai mercati le proprie (anche bancarie), ora si ritrova sulla nuova linea di fuoco. Con le presidenziali alle porte, Nicolas Sarkozy non può permettersi di perdere la tripla A, che regala alla Francia una fittizia parità con la Germania. Di ritrovarsi cioè espulso dal mini-club degli "happy-few" dell'euro. Eppure il rischio si avvicina.

A dimostrazione che in questa crisi non ci sono isole felici per nessuno. Nemmeno per la Germania che pure nel biennio di crisi dell'euro, secondo i calcoli di un economista del gruppo bancario Ing, avrebbe guadagnato qualcosa come 9 miliardi finanziandosi sui mercati a tassi vicini allo zero quando altri Paesi lottavano con livelli proibitivi. Visto che Angela Merkel ha appena regalato ai tedeschi sgravi fiscali per 8 miliardi in due anni verrebbe da dire che a finanziarli sono stati i poveri greci.

Paradossi dell'interdipendenza, delle sue strade a doppio senso di marcia che troppo spesso si vorrebbero ignorare. A rischio di crash. Generalizzati.

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