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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2011 alle ore 08:02.
L'ultima modifica è del 13 novembre 2011 alle ore 09:55.
La Siria non sarà come la Libia, hanno detto russi e cinesi, che ancora si rifiutano di varare sanzioni all'Onu contro Damasco. E la Nato sicuramente non replicherà contro il presidente Bashar Assad l'intervento militare che ha abbattuto Gheddafi. Ma il regime siriano è sotto pressione, una manovra di accerchiamento che non può ignorare il suo maggiore alleato, l'Iran, a sua volta nel mirino per il programma atomico.
Isolare Damasco e Teheran, questo è l'obiettivo degli Stati Uniti, dell'Occidente e di una parte consistente del mondo musulmano, dalle monarchie del Golfo alla Turchia. Alla sospensione dalla Lega Araba della Siria – un duro colpo per l'orgoglio e l'immagine del regime – potrebbero seguire sanzioni e forse la decisione, da prendere in sede europea, di ritirare gli ambasciatori dell'Unione da Damasco, mentre il Consiglio dell'opposizione siriana riceve sempre maggiori riconoscimenti internazionali.
Questo forse non basterà a fermare la repressione ma ogni giorno che passa il giovane Assad, figlio di Hafez, appare come il presidente di una repubblica ereditaria senza futuro.
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