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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2011 alle ore 08:00.
L'ultima modifica è del 18 novembre 2011 alle ore 07:15.

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Altra giornata di passione per l'euro. Altro record polverizzato ieri sui mercati, questa volta dallo spread tra i titoli di Stato francesi e il bund tedesco, salito a 204 punti base.

Se non fosse che la crisi è seria verrebbe spontanea una domanda: ma che succede, presidente Sarkozy, non era lei quello che si offriva di piombare a Roma per insegnarci a governare l'emergenza italiana?
I mercati non perdonano, nemmeno le algide virtù di Paesi quali Olanda e Finlandia. Il motivo? Non c'è una muraglia a difendere l'euro. C'è una doppia crisi di fiducia a minarne la tenuta. Una nasce nei bilanci delle banche, troppo esposti ai rischi sovrani. L'altra nella percezione che i rischi riguardino tutto il debito pubblico dell'Eurozona. Le due crisi si avvitano tra loro. E se come sembra ci sarà una nuova recessione, gli Stati dovranno tornare in soccorso delle banche, con inevitabili contraccolpi negativi sulle rispettive finanze pubbliche. E gli speculatori lo sanno.

I mercati non perdonano ma sarebbe stato strano che continuassero a punire l'Italia risparmiando la Francia. La tripla A di Parigi non basta a nascondere che la performance delle due 'cugine' è simile e che semmai, in fatto di sostenibilità finanziaria, nonostante il debito al 120%, Roma appare relativamente più solida. A dirlo non è un irrazionale sussulto patriottico ma il rapporto Europlus della banca tedesca Berenberg e del Lisboncouncil, elaborato dall'economista Holger Schmieding. Che riassume: «La Francia preoccupa, ha urgente bisogno di riforme perché tra i sei Paesi a tripla A è quella che sta peggio. L'Italia sta meglio della sua reputazione».

Nell'indice di aggiustamento (esterno, fiscale e sui costi unitari del lavoro), il nostro Paese è al 12° posto su 17, la Francia al 15°. Anche se nella scala della salute generale (crescita potenziale, competitività, sostenibilità fiscale e resilienza agli shocks) è al 13°, un gradino davanti a noi.

Prendiamo la sostenibilità delle finanze pubbliche, termometro ipersensibile per i mercati. L'Italia batte di un punto la Francia perché «l'altissimo stock del debito pubblico è compensato da uno dei più bassi deficit strutturali dell'Eurozona e il surplus primario è il fattore mitigante più importante». Parigi è 'zavorrata' dal livello record della spesa pubblica (53,7% del Pil), anche se in questo caso pure il nostro Paese «è sopra la norma».

L'Italia è in vantaggio per resilienza con un debito privato inferiore e quello pubblico con una maturità più lunga e in mano domestiche per una quota superiore a quella francese. Conclusione: «L'Italia fa molto meno male sui due profili di debito rispetto a Francia e Germania di quanto non emerga mettendo a confronto i livelli di indebitamento».

Certo, cresciamo troppo poco perché un eccesso di regolamentazione soprattutto nei servizi penalizza la produttività. Ma con «tagli alla spesa pubblica e serie riforme strutturali pro-crescita l'Italia può evitare una forte stretta fiscale grazie al suo buon saldo primario». Con parametri «più vicini a quelli di Italia e Spagna che a quelli dei Paesi tripla A come Germania, Austria e Olanda» per mantenere il suo status la Francia dovrà adottare «riforme impopolari al più presto».

Le presidenziali sono dietro l'angolo. È improbabile che Sarkozy decida di agire subito. Se i mercati non si calmano, la tripla A è in bilico. Con la Spagna a rischio di battere cassa, l'Italia nella tempesta e Parigi fuori dal club dei magnifici 6, il fondo salva-Stati (Efsf) non solo vedrebbe traballare la sua tripla A ma con i suoi mille miliardi diventerebbe una difesa di carta.

Nell'impossibilità per la Bce di farsi prestatore di ultima istanza per il veto tedesco e perché i trattati Ue andrebbero modificati, solo la Germania insieme all'Fmi (magari foraggiato da prestiti Bce) potrebbe erigere un'efficace barriera salva-euro. Sarebbe una rivoluzione copernicana la decisione della Merkel di garantire i debiti francesi e inevitabilmente anche quelli degli altri. Al prezzo di blindare nei Trattati una disciplina fiscale di ferro, di fare l'unione economica e politica alle sue condizioni. I mercati dettano il passo a Europa e Germania, costrette a trasformare storici no in clamorosi sì. Altrimenti la perdita della Francia e dell'euro sarebbe inevitabile. Ride bene chi ride ultimo, verrebbe allora da mandare a dire a Sarkozy. Non è il caso. Senza un gesto di grande coraggio politico da parte della Germania, ormai la prospettiva è che presto a piangere saremo tutti.

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