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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2011 alle ore 07:59.
L'ultima modifica è del 18 novembre 2011 alle ore 07:15.

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Per spiegare l'atteggiamento e le possibili azioni americane sulla crisi dei debiti sovrani europee si va dalla cospirazione alla ricerca dei buoni consigli, che in genere vengono da chi ha dato il cattivo esempio. Ma anche se dall'America i money market funds, che sono fondi comuni per investimenti in strumenti altamente liquidi, hanno più che dimezzato i titoli europei in portafoglio e continuano a scendere, non c'è complotto.

Semplicemente ritorno al tetto che al momento sembra fare meno acqua di altri, come indicano i titoli del Tesoro americano. L'America ha già abbastanza problemi di suo. Anche se la crisi europea potrebbe nettamente peggiorarli. Con in cambio l'unico vantaggio di poter dire, in un anno elettorale, che gli Stati Uniti non ripartono per colpa degli europei. Il che sarebbe la risposta a quanto da tre anni gli europei lamentano, e cioè che tutti i guai sono incominciati con l'esplosione di Wall Street nel settembre 2008.

I dati dell'Ici (Investment company institute, l'associazione americana delle società di investimento) dicono che i prime money market funds, che seguono le regole del Securities Act del 1933, avevano un anno esatto fa il 32,6% in effetti e titoli a brevissimo dell'eurozona, per oltre un terzo francesi. A tutto settembre erano scesi al 19%, per quasi la metà francesi. Non si tratta di una fuga dall'Italia, perché come dice il capo economista dell'Ici, Brian Reid, «già ad aprile i titoli spagnoli e italiani rappresentavano meno del 2 per cento del totale». Si tratta semmai di una fuga dalla Francia, dove l'esposizione resta comunque considerevole. Dei 1.300 miliardi di dollari di investimenti al 30 settembre, 531 erano in Europa, quasi quanto in Stati Uniti (435) e Canada (126) insieme. E in Europa, 245 miliardi in titoli dell'eurozona e di questi 106 in titoli francesi. L'esposizione europea è stata quasi dimezzata a partire da maggio.

I manager di questi fondi temono i contraccolpi di un sistema bancario che deve ricapitalizzarsi massicciamente , temono una più grave recessione europea e aspettano che vari paesi mettano in ordine i conti riequilibrando entrate e uscite, assicurando solvibilità. E temono il fatto che eurolandia ha una banca centrale ad azione statutaria limitata.

Oltre ai money market funds c'è l'esposizione complessiva del sistema bancario. Secondo 'The Future of the Eurozone and U.S. Interests', uno studio del servizio ricerche del Congresso americano, l'esposizione delle banche ai Piigs era a settembre a 641 miliardi e quella a Francia e Germania di oltre 1.200. In più, secondo i dati della Bri, la Banca dei regolamenti di Basilea, ci sono contratti derivati verso l'eurozona per 757 miliardi di dollari.

Tre giorni fa JPMorgan e Goldman Sachs hanno dato qualche brivido quando è emerso che avevano reso noto agli azionisti di avere contratti derivati a protezione di 5 mila miliardi di crediti, nel mondo, senza specificare l'ammontare verso i paesi della periferia dell'euro. Quando si parla del rischio in Europa di un nuovo 'caso Lehman', si teme che questo possa diventare negli Stati Uniti un nuovo caso Aig, il gigante delle assicurazioni che da Londra vendeva assicurazioni via Cds credit default swaps, senza essere in grado di onorarle.

Le misure già prese in Europa dovrebbero evitare il rischio di un 'Lehman2', ha detto parlando a Londra nei giorni scorsi il governatore della Bank of Canada, Mark Carney, successore di Mario Draghi alla guida del Financial Stability Board. Ma Carney ha anche ricordato su quale sfondo si sta muovendo la crisi dei debiti sovrani europei, una scarsità di liquidi «che hanno fluttuato selvaggiamente negli ultimi cinque anni e ci lasciano ora all'apice di una nuova rarefazione».

Gli Stati Uniti hanno un sistema bancario non risanato nonostante tutto, una finanza immobiliare che è un cancro del sistema, un mercato della casa che continua a scendere, e l'amministrazione Obama cerca di fare tardi quello che avrebbe dovuto fare subito, aiutare cioè i mutuatari. Per tenere in piedi il tutto la Federal reserve è diventata la banca più indebitata del mondo, con un rapporto di 53 a 1 fra assets e capitale. Regge il dollaro, che grazie al signoraggio di moneta globale sta garantendo tutto . Ma il più che possibile fallimento a giorni del Comitato bipartisan sui tagli a deficit e debito rischia di rinviare tutto al 2013, nella speranza ardita che gli elettori risolvano fra un anno con il voto quello che la classe politica non ha saputo fare.

È vero, negli Stati Uniti l'euro non ha moltissimi amici. Ma conforta ricordare che il più stimato uomo di banca d'America e del mondo, l'anziano Paul Volcker, da sempre amico dell'euro, non ha dubbi su quello che l'eurozona deve far. «Per me - ha scritto nei giorni scorsi - la chiara implicazione non è una ritirata dall'eurozona integrata. Ora si tratta di proteggere banche e paesi a rischio. E alla fine ciò che serve è una nuova struttura istituzionale con più disciplina negli standard bancari e finanziari e, andando oltre, più disciplina nelle politiche fiscali ed economiche».

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