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Questo articolo è stato pubblicato il 22 novembre 2011 alle ore 07:49.
L'ultima modifica è del 22 novembre 2011 alle ore 13:18.

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I primi passi del governo di Mario Monti si muovono lungo un doppio sentiero: da un lato l'Europa, dall'altro l'Italia. Sul versante europeo si tratta, come è noto, di ritrovare credibilità; sul versante italiano c'è bisogno invece di affermare una «leadership» nei confronti del sistema politico, ma senza infliggere umiliazioni a nessuno.
Attenersi al duplice registro non è la cosa più facile del mondo. Se è relativamente semplice per il neopresidente, dato il suo prestigio, conquistare e mantenere la fiducia dei partner, sarà più difficile per lui non farsi pian piano soffocare nell'abbraccio interessato dei partiti. Anche perché il governo dei «tecnici» dovrà misurarsi ogni giorno con il Parlamento. E dunque il raccordo fra i ministeri e le assemblee legislative è essenziale. Il vantaggio di Monti resta lo slancio iniziale che perdura. Le forze politiche, di centrodestra e di centrosinistra, sembrano ancora attonite e di conseguenza il potere personale del premier è enorme in questo frangente. Quel sondaggio che fissa il gradimento di Monti sopra la soglia dell'80 per cento, vorrà dire qualcosa. Significa, sul piano pratico, che il presidente del Consiglio è in grado di chiarire il senso e la portata della sua «leadership», obbligando le forze politiche a riconoscerla: non solo sul piano retorico, ma sostanziale.

Per riuscirci Monti giocherà fino in fondo la carta europea, ossia la riconquistata fiducia dell'Unione e delle principali cancellerie. Meglio sarebbe parlare di credibilità internazionale tout court, dopo la lunga a significativa telefonata ricevuta ieri da Obama che si è spinto a elogiare la «competenza» della nuova compagine ministeriale. Un eccellente viatico per il premier che oggi avrà i primi incontri con Barroso e Van Rompuy e giovedì siederà con Angela Merkel e Sarkozy intorno allo stesso tavolo.
Non sfugge a nessuno il valore simbolico di un incontro triangolare che restituisce all'Italia il rango di potenza europea in grado di discutere il proprio destino con il binomio franco-tedesco. Fine dell'isolamento e massimo credito offerto al nuovo governo voluto da Giorgio Napolitano. Come dire che le spalle di Monti sono ben coperte dall'Europa e ora pure dall'America. Un'arma che il presidente del Consiglio non esiterà a usare per operare sul piano interno le scelte più convenienti. Non solo nel merito delle misure, ma in primo luogo sulla struttura del governo ancora da definire.

iceministri e soprattutto sottosegretari rappresentano un terreno scivoloso dove è possibile commettere qualche passo falso. Anche perché c'è del vero nell'argomento di chi dice: ci vuole gente esperta, in grado di conoscere la macchina amministrativa e il Parlamento. Non a caso proprio ieri Monti ha parlato delle Camere come del «luogo decisivo» in cui realizzare l'impegno nazionale promesso dal suo governo. D'altra parte è impensabile che - avendo privilegiato una certa filosofia - il premier conceda ai politici le poltrone da sottosegretario dopo averli esclusi da quelle di ministro. Sarà una partita delicata, da risolvere facendo ricorso al buon senso. Ci vorranno persone esperte, non digiune di Stato e Parlamento, dotate di sensibilità politica. Senza di loro i ministeri non potranno funzionare al meglio, ma guai ad appannare il volto del governo così come è emerso dai giorni della crisi. Credibilità e «leadership»: di pari passo.

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