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Questo articolo è stato pubblicato il 23 novembre 2011 alle ore 07:54.
L'ultima modifica è del 23 novembre 2011 alle ore 07:33.

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A mano a mano che i giorni passano diventa più evidente che l'Eurozona si trova in un grosso guaio finanziario. L'area euro ha un debito pubblico in rapporto al Pil (88% nel 2011) inferiore a quelli di Usa (101%) e Giappone (206%) e di poco superiore a quello inglese (84%).
Pur in questa situazione, l'area dell'euro si sta avvitando in una spirale di sfiducia che sempre più tende ad allontanare gli investitori dalla sottoscrizione dei titoli pubblici dei suoi Paesi membri, con l'esclusione di quelli tedeschi che sono ritenuti sicuri. Sicché si sono ampliati considerevolmente gli spread tra i rendimenti dei bund e quelli dei titoli degli altri Stati: un fenomeno che non tocca più solo i piccoli Paesi 'periferici' da tempo in crisi (Grecia, Irlanda e Portogallo), la Spagna o l'Italia, dopo che anche noi siamo finiti nel ciclone, ma pure Belgio, Francia, Austria.

In uno scenario in cui il deleveraging la fa da padrone ed in cui le economie avanzate indebitate, a differenza di qualche anno fa, non sono più solo 3-4 ma almeno una dozzina, tutte in forte in competizione tra di loro per farsi sottoscrivere i rispettivi titoli, sta prevalendo la logica miope della mors tua vita mea. Sicché l'unica vera soluzione per porre rimedio a questo incombente naufragio finanziario, cioè la proposta degli EuroUnionBond (EuB) lanciata due mesi fa su questo giornale da Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio, non è stata sinora presa in considerazione e forse non è nemmeno stata capita nel suo vero carattere innovativo. Il quale era rappresentato dalla copertura con asset reali (riserve auree delle banche centrali, azioni di utilities pubbliche nelle infrastrutture, quote di patrimonio immobiliare pubblico) delle emissioni degli EuB. Elemento che potrebbe convincere i tedeschi delle buone intenzioni del progetto, visto che anche i Paesi più indebitati darebbero le loro garanzie reali, l'Italia in primis con 180 miliardi di euro di conferimenti al fondo emittente.

Confidiamo tutti che il governo Monti con azioni decise e tempestive e non ostacolate dai partiti possa rassicurare in breve tempo l'Europa, la Bce e i mercati sulla ferma intenzione dell'Italia di conseguire il pareggio di bilancio nel 2013, avviando la riduzione del debito e rilanciando la crescita (per quanto possibile dato che è in vista una stagnazione-recessione in Europa che non risparmierà nemmeno i Paesi più forti come la Germania). Ma il vero problema dell'Europa non è l'Italia o solo l'Italia, come prima non lo erano solo la Grecia, l'Irlanda, il Portogallo o la Spagna. È lo stallo di un continente senza un'adeguata governance economica e senza una strategia comune. Se il mondo ha deciso, a torto o a ragione, di considerare l'euro come un vaso di coccio nella nuova geoeconomia e di disinvestire massicciamente dall'Eurozona (provocando anche il collasso del suo sistema bancario e quindi dell'economia reale), servono misure di ben altre proporzioni che il Fondo salva Stati nella sua attuale inadatta dimensione: servono urgentemente gli EuB.

Basta guardare le cifre del fabbisogno finanziario statale dei maggiori Paesi avanzati per capire gravità ed estensione del problema. Tale fabbisogno, dato dalla somma del debito pubblico in scadenza (fonte Fmi) più il deficit statale (fonte Commissione Ue), nel 2011-2013 sarà elevatissimo per molti Stati. Giappone e Usa presentano i fabbisogni complessivi più alti. Ma il debito pubblico giapponese in mani estere è solo il 15% del Pil e non può essere attaccato dalla speculazione mentre l'America è pur sempre l'America. Fino a due anni fa gli Usa sembravano finanziariamente alle corde (in effetti tanti e giganteschi sono i problemi irrisolti oltreoceano), ma Washington ha riguadagnato la fiducia degli investitori a discapito di un'Eurozona che è riuscita a demoralizzare persino i capitali dei Paesi emergenti che la stavano prendendo in considerazione come nuova meta di investimento.

Sicché sono i fabbisogni finanziari statali complessivi dei maggiori Paesi dell'Eurozona a preoccupare. Il 2011 vedeva l'Italia in testa, con un ammontare di debito in scadenza e di deficit pari al 22,5% del Pil, seguita da Belgio, Spagna, Francia e più staccate Olanda e Germania, con quest'ultima nella posizione migliore. Ma nel giro di poco tempo Belgio, Spagna e Francia sorpasseranno l'Italia. Anche nell'ipotesi che il nostro Paese non centrasse il pareggio di bilancio nel 2013 (come implicito nelle proiezioni della Commissione Ue a politiche invariate), il fabbisogno statale complessivo italiano diminuirà comunque in modo consistente entro quell'anno, grazie al miglioramento del deficit, portandosi al 18,9%: il che ci avvicinerà ai livelli di fabbisogno di Canada (17,3%) e Olanda (16,9%). Se poi il governo Monti farà il miracolo, azzerando il deficit, il nostro fabbisogno totale scenderà quasi a livello canadese e a meno di un punto da quello olandese, mentre Francia e Spagna finiranno sotto pressione, con fabbisogni rispettivamente di 3,6 e 2,6 punti di Prodotto interno lordo superiori al nostro.

Secondo la Commissione Europea, il debito dei Pigs nel 2013 balzerà a 1.695 miliardi di euro, una cifra equivalente al debito di un grande Paese europeo, senza però un'analoga forza economica. Questo è un grosso problema. Ma il debito pubblico francese, che agli inizi degli anni Novanta era la metà di quello italiano in valore assoluto, galoppa e nel 2013 si avvicinerà al nostro, toccando i 1.919 miliardi di euro (contro i 1.971 dell'Italia). L'Eurozona sarà sempre più fragile e non per demerito solo dei Paesi periferici o dell'Italia ma anche e in misura crescente dei nuovi epicentri di instabilità, Francia in testa. A quel punto il rischio di un'implosione della moneta unica potrebbe divenire realtà, con ricadute sull'economia tedesca, il cui debito è tutt'altro che trascurabile: è il più alto in termini assoluti nell'Eurozona e il terzo del mondo, previsto a 2.159 miliardi di euro nel 2013. Una cifra che può essere considerata sicura solo fintanto che i bund continueranno a essere ritenuti sicuri e a calamitare gli investimenti e i disinvestimenti dai titoli altrui.

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