Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 23 novembre 2011 alle ore 07:53.
L'ultima modifica è del 23 novembre 2011 alle ore 07:33.

My24

Gli investitori sono sempre più restii a fidarsi dei titoli di Stato di molti Paesi dell'euro. Questo è l'insegnamento più importante degli ultimi eventi. Molti politici europei sembrano desiderosi di dichiarare guerra ai mercati, ma farebbero bene a ricordarsi che è nel loro interesse che la gente compri i loro titoli di Stato.
Per la maggior parte degli Stati membri, gli attuali spread rispetto ai titoli tedeschi sono gestibili. Perfino Italia e Spagna potrebbero convivere con i rendimenti attuali per un po' di tempo, anche se non a tempo indefinito. La cosa preoccupante è che la pressione sui mercati dei titoli di Stato dell'eurozona sembra aumentare.

Ci sono tre spiegazioni possibili. La prima è che gli investitori si sono accorti che una serie di Paesi dell'eurozona sono a rischio default molto più di quanto si credesse in un primo momento. La seconda è che gli Stati dell'euro non possono contare su un prestatore di ultima istanza vero e proprio. Il loro debito pubblico è gravato da un rischio di insolvenza tout court. Temendo questo scenario, gli investitori creano una situazione di illiquidità, che si trasforma in insolvenza. Più è alta la percentuale di creditori esteri, più il default diventa plausibile: gli investitori sanno che i politici sono più restii a dichiarare lo stato di insolvenza quando a rimetterci sono soprattutto i loro cittadini. Ma una delle conseguenze dell'unione monetaria è che la percentuale di titoli di Stato nelle mani di investitori esteri è più alta di un tempo: metà del debito pubblico italiano è nelle mani di stranieri. La terza spiegazione è che c'è un rischio di rottura dell'euro. Nessuna unione valutaria è irrevocabile. Nemmeno i Paesi sopravvivono in eterno. Ma un'unione valutaria fra Stati divergenti è molto più fragile di un Paese.

La prima spiegazione non funziona. Il debito pubblico e il disavanzo di bilancio della Spagna non sono peggiori di quelli del Regno Unito, e questo è un dato di fatto. Eppure il Regno Unito paga interessi del 2,2% appena sui suoi titoli di Stato decennali, contro il 6,6% della Spagna. La spiegazione di questo enorme divario va cercata per forza nel rischio di illiquidità e nel rischio di rottura dell'eurozona. Sono rischi collegati: se l'illiquidità dovesse provocare il default, gli Stati potrebbero uscire dall'euro. Non è inevitabile, ma è concepibile, considerando lo shock enorme che provocherebbe il default di uno Stato importante.
Che cosa bisogna fare, allora? L'eurozona deve far fronte a tre sfide intrecciate fra loro. La prima consiste nel gestire l'illiquidità dei mercati dei titoli di Stato. La seconda nell'invertire la tendenza alla divergenza dei tassi di competitività che si è registrata dal momento della creazione della moneta unica. La terza nel creare un sistema capace di garantire relazioni economiche meno instabili fra i suoi membri. Dietro quest'elenco c'è un semplice punto: per avere fiducia nel futuro dell'euro, la gente deve essere convinta che stare dentro frutti più vantaggi che stare fuori.

Affrontiamo questi punti uno per uno. Per cominciare, i Paesi vulnerabili semplicemente non sono in grado di eliminare solo con le proprie forze il rischio di illiquidità o il rischio di frattura dell'euro. Il rigore promesso, che inevitabilmente indebolirà l'economia, più che rafforzare la credibilità la penalizza. Bisogna imporre un tetto ai tassi di interesse che sia gestibile. In secondo luogo bisogna colmare in gran parte il divario di competitività che si è venuto a creare con i Paesi della periferia. Ma come la Germania dovrebbe sapere, se guarda alla sua esperienza dell'ultimo decennio, realizzare quest'obiettivo sarebbe molto più facile se nei Paesi partner ci fosse un'inflazione relativamente alta. La Bce dovrebbe cercare di garantire negli anni a venire una domanda sufficiente ad agevolare il miglioramento di competitività di cui in questo momento i Paesi della periferia hanno bisogno. Purtroppo l'aggiustamento, in alcuni casi, può comunque fallire. In questo caso, l'eurozona si troverebbe di fronte a tre possibili scenari, tutti sgradevoli: uno Stato membro in perenne depressione economica, uno Stato membro tenuto in vita artificialmente a tempo indefinito, o uno Stato membro che esce dall'euro.

A me sembra che dalla crisi emergano chiaramente tre lezioni. La prima è che il sistema finanziario dell'area euro deve avere un unico organismo di vigilanza e un'unica autorità di bilancio. La seconda è che Eurolandia trarrebbe un beneficio colossale dal fatto di avere un mercato dei titoli di Stato unificato, che coprisse una fetta importante del debito pubblico di ciascun Stato membro. La terza è che ci vuole una disciplina molto più efficace sulle politiche strutturali e sulle politiche di spesa dei singoli Stati. Ma nulla di tutto questo sarebbe accettabile in un contesto democratico senza un progresso sostanziale verso un'unione politica.

(Traduzione di Fabio Galimberti)
© THE FINANCIAL TIMES LIMITED 2011

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi