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Questo articolo è stato pubblicato il 22 novembre 2011 alle ore 07:34.
L'ultima modifica è del 22 novembre 2011 alle ore 08:23.

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Per quanto prevedibile quale diretta conseguenza dell'uscita di Fiat da Confindustria, la disdetta di tutti gli accordi collettivi applicati alle aziende del gruppo Fiat contribuisce ad "amplificare" lo shock che l'intera vicenda Fiat, a partire dal primo accordo di Pomigliano del giugno 2010, ha inferto al sistema italiano di relazioni industriali. A quel primo episodio, come è noto, sono seguiti altri accordi.

La decisione odierna è dunque dichiaratamente destinata a porre le basi per la rinegoziazione di un unico contratto collettivo di "primo livello", destinato a disciplinare i rapporti di lavoro del settore auto, autonomamente dal ccnl dei metalmeccanici.
Nel frattempo, però, è intervenuta la sottoscrizione, nel giugno di quest'anno, dell'accordo interconfederale che ha fatto registrare il ritorno della CGIL al tavolo della trattativa ed alla sottoscrizione unitaria dell'accordo stesso, contenente l'inedita predisposizione di specifici meccanismi, interni al sistema contrattuale stesso e diretti a regolamentare sia l'eventualità di specifiche deroghe in sede decentrata alla contrattazione nazionale, sia soprattutto gli effetti di un eventuale dissenso interno al fronte sindacale, senza che un tale evento debba portare allo scardinamento del sistema stesso.

Per quanto ciò sia avvenuto sotto gli auspici di Confindustria e Fiat abbia invece deciso di giocare "in proprio" la partita dei rapporti con le organizzazioni sindacali, penso che l'iniziativa del gruppo torinese possa costituire un'importante occasione di verifica della capacità di tenuta del fronte sindacale davanti alle sfide della modernizzazione industriale: la posta in gioco non è quella della pura e semplice "estensione" del modello Pomigliano a tutto il settore dell'auto, quanto quella di una rinegoziazione dei modelli organizzativi e dei trattamenti applicabili ad un settore cruciale del settore manifatturiero.

Quanto alle minacce Fiom di ricorso all'azione giudiziaria sono un evidente segnale di debolezza, soprattutto dopo gli esiti, complessivamente non brillanti, dell'articolato contenzioso in materia: l'apparente vittoria ottenuta nei vari ricorsi relativi all'applicazione del contratto collettivo nazionale si è risolto in una vittoria di bandiera, priva di contenuti sostanziali favorevoli ai lavoratori interessati; laddove la sentenza di Torino sul contratto di Pomigliano, pur riconoscendo un astratto diritto della Fiom al mantenimento delle proprie rappresentanze sindacali in azienda nonostante la mancata sottoscrizione dell'accordo, ha di fatto riconosciuto la piena validità dello stesso e la sua diretta applicabilità a tutti i lavoratori dell'azienda. Una dimostrazione di come la partita sindacale possa e debba essere giocata, magari anche duramente, ma sempre e solo al tavolo del negoziato.

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