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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2011 alle ore 09:35.
L'ultima modifica è del 26 novembre 2011 alle ore 10:50.

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In questi primissimi giorni di attività del nuovo governo, al neo ministro dell'Università Francesco Profumo mi sento di sottoporre una richiesta e una idea. So già che, visti i tempi che corrono, entrambe le proposte potranno sembrare stravaganti, ma si tratta di due segnali di cui il sistema universitario e della ricerca hanno – a mio avviso – molto bisogno e subito.

La richiesta è quella di accelerare nell'attuazione della legge Gelmini. Non perché sia una legge di straordinaria bellezza (la legge 240 contiene elementi positivi e negativi e lo abbiamo detto più volte) ma perché l'Università – che il ministro ben conosce – di tutto ha bisogno in questo momento tranne che di rimanere in mezzo al guado.
È una esigenza pragmatica e di economicità di processo: già troppe energie sono state spese nello sforzo di attuazione della legge in vigore da un anno vuoi che si tratti della riorganizzazione dipartimentale vuoi della stesura di nuovi statuti vuoi della riorganizzazione delle carriere e delle regole di accesso. Mancano tuttavia ancora molti decreti attuativi senza i quali il sistema rimarrà “appeso” all'incoerenza normativa tra vecchie e nuove regole appesantendo ulteriormente la già complessa macchina burocratica e facendo mancare obiettivi. Si pensi solo al dottorato di ricerca. Il terzo livello della formazione accademica.

La legge 240 prevede una riorganizzazione in coerenza con la riforma degli statuti e prevede operazioni di accreditamento presso l'Anvur e tempistiche precise. Per non perdere i nostri laureati migliori verso dottorati esteri e per poterne attrarre da fuori verso i nostri abbiamo bisogno di muoverci ora per il prossimo ciclo. E questo è solo un esempio. Gli Atenei hanno bisogno di ricominciare a operare in un quadro di stabilità normativa e con tempistiche prevedibili.
E veniamo alla proposta. Il sistema della ricerca chiede un segnale forte anche simbolico. Finanzi l'Italia tutti i progetti “Ideas starting grants” presentati da ricercatori presso istituzioni italiane e che non hanno ricevuto il finanziamento dallo European Research Council per esaurimento del fondo.

Per quanto mi è dato di sapere, nel 2011, sono state presentati 573 progetti nel programma di finanziamento riservato ai giovani. Di questi 54 sono stati valutati positivamente ma solo 28 sono stati finanziati. Sono progetti eccellenti che hanno subito un pesante vaglio da referee internazionali. Lo stesso sforzo andrebbe fatto per i progetti Firb giovani “futuro in ricerca” che hanno subito sorte analoga, e, potendo, anche per i progetti Prin 2009 che hanno raggiunto la soglia ma sono stati finanziati solo in parte.
Mi rendo perfettamente conto della “stravaganza” di una proposta di spesa a un governo nato per fare il lavoro difficile “senza se e senza ma”. Chiedere al Miur di reperire nuovi fondi in questo momento può sembrare una ingenuità se non peggio. Non me ne voglia il Ministro. Il nostro sistema della ricerca, e so di non scrivere nulla di nuovo, ha bisogno di una iniezione di ottimismo e di un forte segnale di fiducia e di supporto.

Tanto più se arriva a quanti si sono impegnati nella defatigante e molto spesso frustrante stesura di progetti di ricerca competitivi superando i vagli della valutazione. Finanziando “i bravi esclusi” non solo si attiverebbe con effetto immediato una ondata di ricerca di qualità in tutti i campi, ma si manderebbe un forte segnale di incoraggiamento ai gruppi di ricerca e ai singoli perché si impegnino ancor di più nella presentazione di progetti nella seconda parte del Fp7, ancora ben finanziato, e perché si attrezzino alla progettazione per Horizon 2020 presentata la scorsa settimana alla Accademia dei Lincei, alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, proprio nel giorno in cui nasceva il governo Monti.

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