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Questo articolo è stato pubblicato il 27 novembre 2011 alle ore 10:00.

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L'ipotesi di un nuovo piano europeo per salvare rapidamente l'Eurozona è un segnale incoraggiante per tutti. Lo è per i mercati, che hanno bocciato chiaramente le soluzioni finora proposte da Bruxelles e dall'Eurogruppo, ma lo è anche per le banche e per le decine di milioni di risparmiatori europei che rischiano di perdere tutti i propri risparmi nella peggiore crisi sistemica della storia.

Se l'ipotesi di un nuovo piano rapido per l'Euro troverà davvero conferma, significherebbe che l'Europa, questo week end, ha capito finalmente di essere giunta al punto di non ritorno.
Quando le banche americane e inglesi, cioè le colonne del sistema finanziario mondiale, cominciano a raccontare apertamente ai giornali ed ai mercati di prepararsi alla disgregazione del secondo sistema valutario mondiale, significa che il tempo a disposizione della politica è finito. Il rischio di una fuga di capitali in grado di mandare in bancarotta metà del continente, e non solo i paesi più fragili come il nostro o la Spagna, diventa chiaro ed evidente per tutti. L'Italia ha subito nel terzo trimestre un'emorragia di capitali da oltre 43 miliardi di euro, ma se si mettono nel conto la Spagna, la Grecia, il Portogallo o l'Irlanda, la cifra mette ancora più paura. E se poi toccasse alla Francia? Nessuno oggi può più dirsi al sicuro in quella che una volta era chiamata la «Fortezza Europea».

Ieri il New York Times ha rivelato che i grandi intermediari finanziari delle aree extra-euro sono talmente pessimisti sul nostro futuro da aver predisposto i piani per lo scenario peggiore, quello del ritorno al passato. Nel loro risiko i giocatori non cambiano, ma le alleanze spariscono e ciascuno gioca per se: la Grecia torna alla dracma, l'Italia alla lira, la Spagna alla peseta e così via. In questo contesto, l'Euro resterebbe alla Germania e a qualche suo cugino del Nord Europa: l'Euro targato Berlino diventerebbe così l'alternativa mondiale al dollaro. In Germania, e forse tra qualche banca di Wall Street, l'idea potrebbe anche piacere. D'altra parte, nella confusione che c'è, in molti si sono già convinti che l'euro stia morendo proprio per l'attacco sferrato a sorpresa dalla grande finanza anglosassone, quella umiliata dalla crisi dei mutui. C'è anche chi sostiene che il vero regista della crisi sia invece la destra isolazionista e conservatrice tedesca, che non ha mai digerito l'addio al marco e tantomeno di far parte di un club valutario in cui i soci più ricchi pagano la retta a quelli poveri. In realtà, la crisi dell'euro è solo colpa dell'Europa, che non ha mai vigilato seriamente sui paesi periferici affinchè rispettassero quegli impegni di risanamento dei conti pubblici che erano stati posti a condizione del loro ingresso nel club dell'Eurozona. Questo lo ha detto senza remore persino Mario Monti nella conferenza stampa dopo il vertice con la Merkel e Sarkozy.

Per i mercati, oggi, è superfluo parlare di piani salvastati, di fondi speciali o di fantastici eurobond. l'Europa che abbiamo conosciuto finora ha concluso il suo ciclo vitale: ora, per ripristinare la fiducia, bisogna spiegare quali caratteristiche avrà la prossima. Finchè non si risponde a questa domanda, sarà logico e naturale per le grandi banche internazionali prepararsi al peggio. Le banche inglesi e quelle americane, come ha riferito ieri il New York Times, non possono escludere a priori che l'euro esploda. Da settimane, anche in Italia, alcune banche hanno una doppia contabilità, una in euro e un'altra nella vecchia valuta locale pre-euro. In questo modo, se dovesse tornare la lira, la peseta o la dracma, sarebbe più facile gestire le operazioni in essere, effettuare valutazioni e conversioni dei crediti e dei debiti in dollari e sterline. Ma questo non significa affatto scommettere contro l'Euro o contro un singolo Paese europeo: sarebbe come attribuire a una banca che si dota di un sistema informatico di emergenza la responsabilità di un terremoto o di un'alluvione. Al contrario, si dice che le banche europee siano irresponsabili perchè non stanno facendo nulla per prepararsi all'uscita di un Paese (o del proprio paese) dall'euro. Ma qui il problema è diverso: per chi fa parte dell'eurozona, è evidente che un'uscita dall'euro è improponibile.

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