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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2011 alle ore 08:15.
L'ultima modifica è del 28 novembre 2011 alle ore 09:53.

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Il "podestà straniero", questo era il titolo che Mario Monti aveva dato a un suo editoriale sulla lettera Bce all'Italia. Lettera in cui i governatori Trichet-Draghi – eravamo al 5 agosto scorso – dettavano l'agenda dell'ex Governo nei contenuti e nei tempi. Un'ingerenza che fu uno shock per una classe politica abituata a fare i conti solo con il proprio elettorato e assai meno con il contesto internazionale ed europeo.

Una realtà che è vera a maggior ragione oggi dopo che Silvio Berlusconi è stato costretto a fare un passo indietro, che Monti da editorialista è diventato presidente del Consiglio e che ora illustra le riforme, prima ancora che al Parlamento, ad Angela Merkel e Nicolas Sarkozy. Questa è la realtà dei fatti con cui l'Italia deve confrontarsi: un vincolo europeo e degli investitori internazionali (detentori di larga parte del nostro debito) spesso più forti della sovranità nazionale. Ma c'è chi non si arrende alla realtà.

E sono quelli che ancora in questi giorni rispolverano l'ipotesi di urne anticipate e che, non a caso, sono tagliati fuori dal Governo Monti. C'è la sinistra vendoliana, ci sono ex ministri Pdl che non gradiscono di stare fuori dall'Esecutivo e c'è la Lega che, alla roulette delle prossime elezioni, gioca l'azzardo dello sfascio. In pratica Umberto Bossi ha scelto l'opposizione contando sul fatto che Monti – e quindi l'Italia – fallisca la sua missione di uscire da una crisi che stringe i conti pubblici con uno spread e rendimenti sui titoli di Stato elevatissimi e una crescita bassissima. Comunque tutti quelli che soffiano sul fuoco per evocare a breve le urne, non fanno i conti con la realtà di cui parlavamo prima. Ossia che il vincolo europeo e internazionale oggi condiziona la vita politica e dei partiti più di ogni cosa. Ne sa qualcosa Berlusconi ma soprattutto Giorgio Napolitano, che nell'ultima fase dell'ex Esecutivo era stato – lui – garante dell'Italia presso i governi europei e degli Usa.

Oggi questo referente-garante è diventato – come dovrebbe essere nella normalità – il premier. Prova se ne è avuta con il vertice a tre – non più a due – tra Monti, Merkel e Sarkozy. Del resto, i primi giorni da presidente del Consiglio sono stati proprio nel segno di un ritorno sulla scena di Bruxelles: un passo obbligatorio verso l'estero che però ha un risvolto anche interno. E cioè, il "politico" Monti sta legando la sua vita governativa al ruolo che si sta ritagliando in Europa, evitando così che i partiti lo "scarichino" una volta messe in campo le riforme. C'è addirittura chi – nel Pdl come nel Pd – lo dice sottovoce: fatte le misure "lacrime e sangue", che si intesterà il Governo, punteremo subito al voto. Ma il calcolo è sbagliato. Perché il percorso italiano, Monti, lo sta intrecciando a un percorso europeo (anche sulla riforma dei trattati e della governance) che non è di breve scadenza. E di cui egli stesso è garante insostituibile. Difficile che a negoziare in Europa possa arrivare, in sua sostituzione, il leader del Pdl e del Pd dopo che proprio Merkel e Sarkozy – per non parlare di Barroso e Van Rompuy – hanno detto in tutte le lingue «ci fidiamo dell'Italia di Monti».

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