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Questo articolo è stato pubblicato il 02 dicembre 2011 alle ore 06:39.

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L'utopia del mercato: capire che a valle ci sono degli uomini



Metà dei paesi del mondo e, in modo particolare, quelli europei si stanno dotando di nuove leggi che vanno a modificare stili di vita, relazioni sociali e mondo del lavoro dei cittadini. Anche i paesi a tripla “A” ne sono coinvolti e in molti casi le manovre si concentrano su inasprimenti fiscali. Oggi si deve pensare, ed in fretta, alla crescita economica che vada di pari passo con la riduzione dei debiti pubblici. In questo scenario, spesso crudo e di conflitto sociale, una situazione pare immutabile: il mercato. In base alle sensazioni, ai “rumors” , alle compiacenze agli attestati di fiducia o sfiducia enormi quantità di obbligazioni pubbliche possono essere vendute dagli operatori istituzionali e dalle banche – si sa benissimo chi sono – che trovano frequentemente, “obtorto collo” la contropartita di acquisto nella Bce. Ora che queste regole del “libero” mercato non possano essere cambiate non sta scritto da nessuna parte. Se è pur vero che si deve contenere il debito e che si deve lavorare per il pareggio dei bilanci degli stati, va lasciato il tempo “etico” per farlo. La speculazione, chiamiamola così, ma preferirei definirla “opportunismo del guadagno” va imbrigliata a canalizzata. Si devono imporre drastiche misure che pongano un tetto ai volumi per singolo operatore sui titoli trattati, impedire che la compravendita avvenga allo scoperto e che si usino i titoli di stato come sponde per ottenere profitto con arbitraggi repentini e quotidiani. Chi acquista deve avere coscienza che va a finanziare un popolo, degli individui, delle idee, delle forze lavoro, dei soggetti sociali, della cultura. È utopistico questo?
Giacomo Zanella
Padova
Il valore del lavoro
Nei giorni scorsi ho seguito un'intervista televisiva nella quale un noto imprenditore annunciava i suoi programmi d'investimenti in Romania con l'apertura di un importante nuovo stabilimento. Chiaramente i vantaggi erano molteplici, minori tasse, basso costo della mano d'opera, ecc. Da sempre è mia convinzione che la vera ricchezza di un Paese è il lavoro e allora perché portarlo altrove? Perché politici, industriali e sindacati non capiscono che è dannoso per tutti non mettere in condizione le nostre aziende di essere competitive. Tenuto conto poi che per lavorare i nostri connazionali sono disposti a grossi sacrifici. Mi viene in mente il dramma del crollo della palazzina di Barletta dove lavoravano in nero delle povere operaie che, per tirare fine mese, venivano sfruttate con miseri guadagni. Non si può rimanere immobili a simili contraddizioni. E allora perché non pensare ad una specie di "zona franca" con particolari benefici fiscali?
Giacomo Costa
Bancario
Ranica (Bergamo)
La buonuscita di Guarguaglini
Il disastro combinato da Guarguaglini dopo 10 anni alla guida di Finmeccanica è davanti agli occhi di tutti. La richiesta di una buonuscita appare del tutto impropria e inaccettabile a fronte del disastroso andamento del Gruppo dei danni morali e d'immagine causati. Che dunque sia il Governo e l'azionista ministero dell'Economia ad agire contro Guarguaglini con la richiesta di rimborso dei danni relativi alla sua malagestione. Il Paese si aspetta dal nuovo Governo politiche di lotta alla corruzione e al malaffare in tutto l'ambito delle aziende statali e parastatali, affinchè non siano più il territorio di caccia del malaffare e il salvadanaio dei partiti.
Paolo Cortesi
Architetto
Roma
Contributi uguali per tutti
Sono assolutamente d'accordo con la linea del Sole 24 Ore: non è possibile avere un contributo di solidarietà diverso per i dipendenti pubblici, i pensionati e i lavoratori privati. È incostituzionale perché non rispetta almeno due princìpi fondamentali della Carta: il diritto di uguaglianza (articolo 3) e la capacità contributiva (articolo 53). Sicuramente in futuro la norma sarà bocciata dalla Consulta, e allora saranno guai seri. Perché quando si scrivono le norme non si tiene dapprima in mente la Carta costituzionale e poi le altre ragioni (urgenza, esigenze di gettito, ecc.)? C'era bisogno di questa discriminazione?
Domenico Lanuto
Commercialista
Bologna

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