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Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2011 alle ore 09:31.
L'ultima modifica è del 03 dicembre 2011 alle ore 09:51.
Nelle ultime due settimane la Germania si è opposta a ogni tentativo di ampliamento degli interventi per salvare l'euro dalla crisi di sfiducia, eurobond e quantitative easyng in particolare. Solo ieri è arrivata un'apertura a un intervento della Bce che lascia ben sperare ma potrebbe non essere risolutiva.
Perché la Merkel ha perseguito ostinatamente una strategia che rischia di essere rovinosa non solo per i Paesi in crisi dell'euro, ma anche per la stessa Germania?
F ino a qualche settimana fa la ritrosia tedesca a intervenire in soccorso dei paesi in crisi veniva spiegata dicendo che essa serviva per evitare problemi di "moral hazard". Negando ulteriori aiuti a Grecia, Italia, Spagna, Portogallo, così recita la storia, si costringevano questi paesi a fare i tagli e le riforme necessarie per ristrutturare le loro economie e riequilibrare le finanze pubbliche. Ulteriori aiuti e salvataggi, anche parziali, allentando la corda avrebbero invece tolto l'incentivo a effettuare tagli e riforme.
Ora però, anche a causa dell'esitazione tedesca, la situazione è divenuta drammatica. La corda è già tesa al massimo: i governi di cinque paesi sono caduti e si ha la sensazione che quelli nuovi stiano facendo quanto è in loro potere. Al contempo la crisi dei debiti sovrani si è propagata dai paesi periferici dell'Europa verso il centro, lambendo anche Austria e Finlandia e non lasciando indenne neppure la Germania che ha mostrato segni di difficoltà nel collocamento dei propri bund. La crisi da periferica è diventata crisi dell'area euro e l'idea che la moneta unica possa saltare non è più una eventualità remota ma un evento con una massa di probabilità apprezzabile. Eppure la Merkel ha resistito a lungo nella sua linea.
Sul Sole del 26 novembre Francesco Caselli avanza un'interessante spiegazione: la Merkel si è opposta all'intervento della Bce perché così facendo accresce la probabilità di essere rieletta. Acconsentendo all'intervento andrebbe contro la nota avversione dei tedeschi (memori della grande inflazione degli anni 20) a una banca centrale che segue politiche monetarie "accomodanti", decretando la sua sconfitta politica.
Questa spiegazione coglie una importante dimensione del problema: la presenza di una frizione nel meccanismo di formazione delle decisioni politiche. Nonostante la Merkel, diversamente dall'elettore medio tedesco, capisca chiaramente quale sia la politica più utile e vantaggiosa anche per il proprio paese, non vuole adottarla perché guarda (soprattutto) al proprio interesse di politico: essere rieletta.
Questa visione cinica aiuta sicuramente a spiegare molti comportamenti dei politici in diverse circostanze. Ma è una spiegazione buona anche in questa contingenza? La frizione politica - la possibilità cioè che possa prevalere non la scelta migliore per la collettività ma un'altra - è un ingrediente chiave. Il cinismo no. Inoltre la paura dell'inflazione può forse spiegare la riluttanza odierna della Merkel ad acconsentire all'intervento della Bce in acquisto di titoli di debito sovrano ma non l'opposizione agli eurobond o la insistita e protratta opposizione passata ai trasferimenti alla Grecia - quest'ultimo il vero punto di origine della crisi attuale.
C'è una spiegazione alternativa che può meglio dar conto del comportamento della Merkel: un clash culturale. La disciplina e il rispetto ferreo delle regole che sono alla base della cultura del popolo tedesco, si scontrano con le culture mediterranee dove il rispetto delle regole è spesso tenue e soprattutto derogabile.
Al contempo e proprio per questo la violazione delle regole (dall'evasione fiscale al parcheggiare in doppia fila) è vista come molto più grave da un tedesco che, ad esempio, da un greco. È la ragione per cui il cittadino tedesco vede la mancanza di disciplina fiscale dei popoli mediterranei, inclusi trucchi e frodi contabili, come una grave comportamento da punire. Nasce da qui l'opposizione dei cittadini tedeschi agli aiuti alla Grecia e più in generale ai paesi con finanze pubbliche dissestate, non da una avversione preconcetta. Infatti, mentre la stragrande maggioranza dei tedeschi si oppone ai trasferimenti alla Grecia, il 70% si è dichiarato favorevole ad aiuti economici e finanziari al popolo libico, frastornato dalla guerra di liberazione.
Il problema è che il singolo cittadino tedesco non tiene conto del fatto che, per quanto giusto possa essere, il castigo dei paesi che hanno violato le regole opponendosi a qualunque politica che possa salvarli, potrebbe ritorcersi con conseguenze disastrose sul popolo tedesco stesso.
La Merkel invece anticipa che in assenza di interventi la crisi della periferia si propagherà poi al centro, ma è soggetta a un vincolo di "conformità": non può andare contro i sentimenti profondi del suo popolo, non per paura di non essere rieletta (la spiegazione cinica) ma perché i tedeschi oggi non la seguirebbero, decretando il fallimento della politica. Il cancelliere tedesco si trova tra l'incudine dell'intransigenza del suo popolo e il martello della crisi che avanza e che può travolgere anche la Germania.
La forza di grandi leader, quali Churchill, sta proprio nel farsi seguire dalla propria gente anche quando le politiche da adottare sono impopolari e vanno contro profondi convincimenti di massa. La grandezza di cui la Merkel difetta non è il coraggio ad andare controcorrente, ma la capacità di portarsi il suo popolo appresso.
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