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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2011 alle ore 07:58.
L'ultima modifica è del 09 dicembre 2011 alle ore 06:39.

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Ci risiamo. L'Europa è in bilico, l'Italia cerca di evitare il baratro e i no Tav – che sono non violenti manifestanti "nimby", not in my backyard – occupano l'autostrada Torino-Bardonecchia, provocano disordini, assalti paramilitari e sassaiole ai cantieri in Valle di Susa. Dell'importanza strategica dei collegamenti infrastrutturali con l'Europa, si sa.

Piuttosto, non si può più credere alla storiella delle infiltrazioni dei movimenti antagonisti, dei black-block cattivi che appaiono all'improvviso e all'insaputa di cortei pacifici di famiglie e bambini che scrivono spontaneamente sull'asfalto «la Tav è uguale alla mafia». Tutto questo è accaduto ieri, con tanto di feriti e inevitabili polemiche. Sei anni fa si consumavano gli scontri di Venaus. Non è cambiato nulla?

Qui non è questione di costi (che si vedranno ora con il governo Monti), ma di convivenza democratica. Finché un ex ministro come Paolo Ferrero – ora segretario di Rifondazione comunista – e amministratori locali assortiti diranno che si fa bene «a protestare contro un'opera inutile e dannosa» si legittima tutto e non se ne verrà fuori. Chi si esprime con martelli, asce, caschi e passamontagna non ha niente a che fare con le discussioni civili. È un delinquente comune e come tale va trattato.

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