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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2011 alle ore 08:03.
L'ultima modifica è del 09 dicembre 2011 alle ore 07:29.

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Si sarebbe potuto pensare che - dopo il Trattato di Lisbona, il Trattato di Nizza e il Trattato di Amsterdam - il vecchio Trattato di Maastricht, messo a punto il 9 e 10 dicembre del 1991, fosse effettivamente storia. Non è così. A venti anni esatti di distanza, la costituzione che creò il grande progetto della moneta unica è ancora al cuore dell'assetto istituzionale dell'Unione, e oggi al centro delle discussioni.

Fu nella cittadina olandese sulla Mosa che la Germania impose la clausola del non salvataggio (la no bail-out clause), che impedisce agli stati membri di assumersi i debiti dei loro partner. Il ragionamento tedesco era quello della Haus in Ordnung: in una unione monetaria di stati sovrani i singoli governi avrebbero avuto il compito di mantenere la casa in ordine per garantire la stabilità della valuta comune.
Nel 2009, il deputato europeo Andrew Duff, un uomo politico inglese del partito liberal-democratico, affermò che se un salvataggio sovrano fosse diventato indispensabile per salvare la zona euro «sarà certamente necessario rivedere le regole dell'Unione monetaria». Mai preveggenza si è dimostrata così corretta. Da mesi ormai gli stati membri della zona euro stanno valutando se e come cambiare i Trattati.

Il Consiglio europeo che si è aperto ieri e che deve terminare oggi, salvo possibili (probabili?) tempi supplementari, deve decidere se e come rivedere l'assetto del Trattato di Maastricht, proprio mentre questo accordo celebra il suo ventesimo anniversario. Dietro alla no bail-out clause si nascondono dopotutto le molte fragilità di un'Unione monetaria basata su una moneta comune ma sovranità multiple.
Ieri come oggi le decisioni passano inevitabilmente dalla Germania. Nel 1991, l'obiettivo dei francesi era di legare indissolubilmente la Repubblica Federale, appena uscita dall'unificazione, al destino del continente. Nel 2011, il tentativo di Parigi è di salvare la moneta unica e soprattutto legare il proprio futuro a Berlino per evitare di seguire la stessa strada intrapresa dagli altri paesi più deboli della zona euro.

Per molti aspetti il salvataggio dell'euro dipende dal superamento della contraddizione tra sovranità nazionali e moneta unica. Negli ultimi mesi la Germania è stata accusata di avere peggiorato la crisi per non avere capito l'urgenza del momento, rinviando decisioni poi costretta a prendere sempre troppo tardi. Il deputato socialista francese Arnaud Montebourg ha detto che la politica del cancelliere Angela Merkel è "bismarckiana". Il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski ha ammesso di temere oggi «più l'inazione tedesca che il potere tedesco». In questi anni di crisi debitoria, la Germania è stata colpevolemente lenta, ma nell'accettare «una riduzione della propria sovranità», come ha detto la signora Merkel qualche settimana fa, ha dimostrato di avere capito i difetti del Trattato di Maastricht, più di una Francia sempre troppo souverainiste.

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