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Questo articolo è stato pubblicato il 12 dicembre 2011 alle ore 06:38.

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Ad accelerare una decisione operativa sul destino dell'assegno vitalizio è stata un'iniziativa del ministro Elsa Fornero, che ha incontrato i presidenti e i collegi dei questori delle due Camere ponendo loro un delicato problema squisitamente politico. Il Governo – ha osservato il ministro - ha intenzione di applicare, con il criterio del pro rata, il sistema contributivo a tutti i lavoratori a partire dal prossimo 1° gennaio. Pur nell'ambito dell'autonomia del Parlamento sarebbe opportuno, dunque, che deputati e senatori mandassero un chiaro segnale nella medesima direzione. La Camera aveva già deliberato, a partire dalla prossima legislatura, il superamento dell'assegno vitalizio e la sua sostituzione con un regime pensionistico simile a quello operante nel mondo del lavoro. Analoga delibera era stata assunta anche da Palazzo Madama. A Montecitorio il collegio dei questori aveva costituito una commissione composta da un deputato per ogni gruppo (chi scrive è incaricato di coordinarla) con il compito di avanzare una proposta da sottoporre all'Ufficio di presidenza, in tempi utili a definire la nuova disciplina entro l'anno in corso.
Nel comunicato conclusivo dell'incontro è stata tracciata l'architettura della riforma: a) introduzione dal 1° gennaio 2012 del sistema contributivo che opererà per intero per I deputati e i senatori che entreranno in Parlamento dopo quella data e pro rata per quanti esercitano attualmente il mandato elettivo; b) dalla stessa data i parlamentari cessati dal mandato potranno percepire il trattamento di quiescenza non prima del 60° anno di età per quanti abbiano esercitato il mandato per più di un'intera legislatura e del 65° per coloro che abbiano versato i contributi per una sola intera legislatura.
In sostanza, l'assegno vitalizio morirà prima del tempo. Dal 2012 anche i parlamentari avranno una pensione con le regole del sistema contributivo: aliquota contributiva del 33%, requisito anagrafico minimo di 5 anni effettivi, accredito del montante contributivo, coefficienti di trasformazione, aggancio automatico all'attesa di vita, sistemi ordinari di rivalutazione del montante e delle prestazioni e quant'altro incluso negli ordinamenti pensionistici degli italiani. Il trattamento previsto nella XVI legislatura sarà la somma di due distinti periodi: 3,5 anni circa calcolati con i ratei dell'assegno vitalizio ragguagliati all'indennità in vigore e 1,5 anni computati con il metodo contributivo.
Come sempre accade quando si affrontano queste riforme la coda del diavolo sta nelle norme che regolano la fase di transizione, soprattutto in un contesto ingarbugliato come quello dell'assegno vitalizio per il quale si intrecciano veri e propri "regimi di legislatura" che i parlamentari si sono portati appresso anche quando sono intervenute delle modifiche. Basti pensare che, solo a Montecitorio, secondo le regole vigenti, avrebbero il diritto di percepire il vitalizio al compimento dei 50 anni di età una trentina tra ex deputati e deputati in carica, se cessati dal mandato, e circa 200 (ex e in carica) prima dei 60 anni. La commissione aveva ipotizzato un allineamento più graduale a 65 anni nell'arco di tre legislature. Altri malumori sono stati espressi da deputati più giovani, di prima legislatura, che lamentano l'entità dei sacrifici a loro carico, a fronte della sopravvivenza – a loro avviso – di troppi privilegi a favore di colleghi di lungo corso.
Anche sul fronte esterno il nuovo sistema ha suscitato polemiche, invero immotivate. Si dice che, con il nuovo modello, la Camera dovrebbe sostenere una quota di contribuzione (circa il 24%) a carico del suo bilancio. La constatazione nasce da un difetto di informazione. È stato scritto che i deputati versano un'aliquota dell'8,56% contro il 33% dei lavoratori dipendenti. Non è così. Anche adesso la Camera sopporta l'onere di un'aliquota implicita molto maggiore del 24%: basti pensare che oggi Montecitorio incassa, all'anno, 12,5 milioni di versamenti contributivi dai deputati e spende circa 130 milioni. In pratica vi è un rapporto tra entrate e spesa di uno a dieci. Quando la riforma andrà a regime il rapporto sarà di uno a tre-quattro. Pertanto diminuirà in maniera crescente il "costo del lavoro" dei deputati. I principali risparmi deriveranno dall'elevazione del requisito anagrafico a 60 anni (visto il numero notevole degli interessati) e dalla riduzione dell'importo delle future pensioni rispetto
a quello dei vitalizi (si stimano "tagli"
che vanno da 500 a oltre 2mila euro
mensili lordi).
*Giuliano Cazzola è vice presidente
della Commissione Lavoro della Camera
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