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Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2011 alle ore 07:46.
L'ultima modifica è del 14 dicembre 2011 alle ore 07:31.

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Nessuno è soddisfatto, ma nessuno rimane a mani vuote. Forse si può riassumere così lo stato d'animo dei partiti che sostengono il governo (Pdl, Pd e Terzo polo). Le modifiche alla manovra sono numerose e vanno nel senso di una maggiore «equità» sociale. Il termine è vago e ognuno ha un proprio metro per giudicare ciò che è davvero equo. Tuttavia è evidente che Monti ha corretto talune asprezze contenute nei provvedimenti e li ha resi un po' meno pesanti per le spalle dei «soliti noti».
Il contributo richiesto alle «pensioni d'oro» oltre i 200mila euro, l'imposta sugli immobili detenuti all'estero e la mini-patrimoniale sulle attività finanziarie oltreconfine equivalgono ad altrettante misure volte a colpire i «ricchi» e si accompagnano al salvataggio delle pensioni basse, nonché a un certo alleggerimento dell'Ici sulla prima casa: con un occhio di riguardo per le famiglie, soprattutto quelle numerose. Ci sono poi una serie di correttivi minori che nell'insieme attenuano in parte l'impatto della manovra sulla vita degli italiani.
È tanto? È poco? Le forze politiche fanno buon viso a cattivo gioco. Di più, date le circostanze, non era possibile ottenere. Né da loro né dai sindacati che hanno recitato la loro parte con modesta convinzione. L'emergenza continua, le notizie che arrivano dall'Europa non sono confortanti e Angela Merkel non fa alcuno sforzo per incoraggiare l'ottimismo sulle intenzioni della Germania. Non a caso le indiscrezioni sul rifiuto tedesco di accrescere il contributo finanziario al futuro fondo salva-Stati hanno provocato l'ennesima doccia ghiacciata sulle borse e sui fatidici «spread».
Monti è come un «surfista» che corre sulla cresta di un'onda mostruosa, l'onda «perfetta» degli sportivi, e può solo andare avanti con determinazione, ignorando il rombo che lo sovrasta. Ieri, incontrando a quattr'occhi Bruno Tabacci, ha detto di sentirsi sereno e fiero del servizio reso al paese. In effetti il messaggio delle prime settimane è arrivato ai destinatari. In primo luogo all'opinione pubblica che tutto sommato accetta l'austerità con una forza d'animo e una rassegnazione che avrebbe negato a qualsiasi altro governo emenazione dei partiti (il cui discredito non è certo curato dall'insofferenza sulla questione delle indennità parlamentari).
In ultima analisi gli italiani continuano a mostrare rispetto e un sostanziale consenso nei confronti del governo e del premier. Le misure sono dolorose, ma chi le impone ha la credibilità per farlo. In più è diffusa l'impressione che l'Italia è di nuovo in grado di far sentire la sua voce in Europa, dove si ritiene sia nascosta la chiave per risolvere il rebus del debito.
Quindi i prossimi passi sono obbligati: voto di fiducia e approvazione dei provvedimenti prima di Natale, secondo il calendario fissato. I ritardi non sono ammissibili. Il Parlamento, nel suo complesso, ne è amaramente convinto. È vero che il grado di adesione al montismo è variabile: massimo al centro degli schieramenti (un centro trasversale che rompe le vecchie barriere), più tormentato man mano che ci si dirige verso sinistra o verso destra. Ma la non-maggioranza terrà nella sua configurazione attuale. Fuori dalle colonne d'Ercole ci sono la Lega e Di Pietro. Ma era già noto e le correzioni alla manovra non avevano il potere di cambiare la geografia parlamentare.

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