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Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2011 alle ore 07:40.
L'ultima modifica è del 14 dicembre 2011 alle ore 06:39.

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Non l'hanno ancora trovato, tutti raccomandano molta prudenza e tanto studio, ma i segnali della sua esistenza sembrano essere, questa volta, sicuri e soprattutto è più chiaro dove cercarlo. Lui è il bosone di Higgs, l'elusiva particella elementare sfuggita negli ultimi cinquant'anni a tutte le ricerche, che sembra dover giocare invece un ruolo fondamentale nella costruzione ed evoluzione della materia e dell'universo stesso.

Questo il succo di una seguitissima e molto attesa conferenza tenutasi ieri pomeriggio al Cern di Ginevra, il maggior centro di fisica nucleare oggi esistente. I ricercatori dei due esperimenti Atlas e Cms, che lavorano sfruttando il grande acceleratore di particelle Lhc, Large hadron collider, dopo aver analizzato 300 milioni di miliardi di urti fra particelle avvenuti dentro l'acceleratore nel 2011, e incrociando i loro risultati, sembrano aver avuto successo. La conclusione è che il bosone previsto dal fisico Higgs nel 1964, impropriamente chiamato spesso la "particella di Dio", potrebbe proprio esistere e va cercato fra 115.5 e 131 Giga elettron volt. Grazie a Einstein, energia e massa sono equivalenti e possiamo dirlo in modo forse un po' più familiare: va cercata una particella probabilmente 126 volte più massiccia del protone, quello che studiamo sui libri del liceo essere nel nucleo degli atomi assieme ai neutroni.

Aula strapiena, in prima fila parterre de rois, con premi Nobel che prendevano appunti e fotografavano con i telefonini lo schermo. Folla di giornalisti e i collegamenti via rete a volte hanno ceduto per le troppe richieste, nonostante quello sia il luogo dove è nato il web nel 1992 e la Grid, la mamma di quella che oggi si chiama "la nuvola", nel 1999.
Due italiani a parlare: Fabiola Gianotti, responsabile del gigantesco esperimento Atlas e Guido Tonelli per Cms. Esperimenti che, si badi bene, sono fondati su collaborazioni di centinaia di fisici provenienti da tutto il mondo e apparecchiature alte come case di cinque piani.

Entrambi hanno fatto vedere in modo molto chiaro l'evidenza di pochi eventi, come vengono chiamati in fisica nucleare gli scontri fra particelle elementari, compatibili con l'esistenza di Higgs: 12 o 13 su miliardi e miliardi. Pochi dunque, ma che potrebbero essere, nella speranza di tutti, un ulteriore importante gradino nel cammino della scoperta che porterebbe i fisici a capire perché la materia abbia una particolare proprietà, che a noi pare del tutto naturale, ovvero la massa. Quando si arriva ai livelli infinitesimi, in cui particelle e onde di energia sembrano essere due facce della stessa realtà, pare che per spiegare la massa serva l'esistenza di questo bosone di Higgs, l'ultimo pezzo di una sofisticatissima teoria, il modello standard, che spiega tutte le proprietà della materia a livello nucleare finora scoperte.

Senza questo bosone le particelle non potrebbero avere massa e cosa ne sarebbe del nostro universo è tutto da decidere. Ovviamente esistono già nei cassetti dei bei pacchi di carta con teorie alternative da tirar fuori nel caso gli otto miliardi di euro spesi per costruire Lhc non portino invece da nessuna parte, ma da oggi si spera di poterli lasciare nei cassetti.
Se invece lo trovassero, potrebbe essere la chiave di volta per andare oltre, molto oltre, verso una teoria che spiegasse anche l'ultima, e forse più importante, forza della natura rimasta fuori dal modello standard: la forza di gravità, quella che tiene insieme miliardi di stelle entro una galassia o che fa cadere a terra un bicchiere che ci scappi di mano.

Soddisfazione supplementare in Italia nelle parole del presidente dell'Istituto di fisica nucleare, Infn, Francesco Ferroni: «Questo risultato, certamente significativo anche se non definitivo, è stato conseguito da esperimenti guidati da italiani che - al pari di quelli che dirigono tutti gli altri esperimenti di Lhc - vengono dalla grande fucina dell'Infn, dalla scuola italiana di fisica».
Se son rose fioriranno insomma. L'anno prossimo.

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