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Questo articolo è stato pubblicato il 17 dicembre 2011 alle ore 09:52.

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Può fare solo bene al Governo l'orgoglio manifestato da Mario Monti ieri sera alla Camera. Orgoglio politico, nel momento in cui il presidente del Consiglio ha respinto quell'immagine di «uomo disperato» che Berlusconi aveva voluto cucirgli addosso. Un premier disperato a meno di un mese dal giuramento è già un premier fallito. Viceversa Monti non prende nemmeno in considerazione l'ipotesi del fallimento.

Certo, il risultato finale dopo il voto segreto non è stato trionfale. Tanti assenti, molti nelle file del Pdl. E' il brutto segno che una parte del Parlamento non crede nel governo (soprattutto il venerdì sera, con il weekend alle porte). E' un problema da affrontare in corsa, già da domani. Tuttavia, dopo aver ascoltato Monti, la voce a tratti vibrante per l'irritazione appena controllata, non ci sono più dubbi sul fatto che a Palazzo Chigi c'è un combattente.

I toni del discorso di replica non lasciano incertezze al riguardo. Il presidente del Consiglio ha ribattuto colpo su colpo alle critiche e non si è fatto intimidire dai fischi della Lega. Ha scandito con durezza, quasi con asprezza, gli obiettivi del governo. In particolare ha voluto trasmettere l'impressione di un governo determinato a procedere sulla via delle liberalizzazioni. Nessuna sfida esplicita a questo o quel settore del Parlamento, dove siedono i difensori delle corporazioni. Ma invece, sì: la sfida è nei fatti ed è bene che sia così perché un governo "tecnico" timido e dubbioso è quasi una contraddizione in termini.

Al momento nessuno è in grado di dire quanto durerà l'esecutivo: sei mesi o un anno e mezzo. L'indovinello che appassiona i parlamentari e molti osservatori oggi non ha risposta. Però un punto sembra chiaro: il premier intende affrontare il capitolo delle riforme; il che significa che si propone di tagliare il nodo gordiano delle ingessature che da decenni paralizzano l'Italia. Ci riuscirà? Impossibile dirlo. Ma è fondamentale che Monti abbia voglia di combattere e che stia uscendo dal "cliché" un po' falso del tecnico competente, sì, ma restio a mettere la mano negli ingranaggi del sistema.

Al contrario, l'uomo ha fatto capire al Parlamento che affrontare in prima battuta l'emergenza era indispensabile, ma che ora il raggio d'azione del governo si allarga. Ed è giusto che sia così, perchè la finestra di opportunità per l'esecutivo è ancora abbastanza larga. I partiti restano deboli e incerti e questa simmetrica fragilità è destinata a durare. Monti e i suoi ministri hanno tutto l'interesse a cancellare qualsiasi impressione di timidezza. Poi si vedrà. Ma nessuno al momento, da Berlusconi a Bersani, ha la volontà, la forza o l'interesse di far inciampare il premier. Entrambi, centrodestra e centrosinistra, dicono di "prepararsi al voto", ma è un'affermazione generica, fatta per tenere sotto controllo una base nervosa e incerta.

Semmai il rischio è il piccolo cabotaggio quotidiano: quel lento, estenuante frenare o edulcorare le iniziative del governo. La disaffezione emersa nel voto di ieri sera è lo specchio di questa tendenza: l'opposto della tensione morale che serve al paese. Monti avrebbe bisogno di un appoggio parlamentare franco ed esplicito. Ricco di iniziativa politica. Così non è. Eppure il presidente del Consiglio può supplire con la determinazione personale, con l'appoggio del Quirinale, ribadito ancora ieri, con la capacità di camminare spedito sulla via delle riforme. L'unico modo per durare è non preoccuparsene. E guardare invece all'interesse degli italiani che vogliono un paese più libero e con meno orpelli e privilegi.

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