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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2011 alle ore 10:08.
Sotto la spinta della Commissione europea e l'assenso di Germania e Francia, l'Europarlamento programma nei prossimi giorni di infliggere un ulteriore colpo all'attività del sistema bancario italiano.
E ciò avviene in un momento in cui esso va ricercando un nuovo equilibrio per non interrompere l'attività di finanziamento alle imprese e alle famiglie.
L'Unione Europea si accinge a emanare una direttiva che chiede alle banche di costituire un fondo pari all'1% del valore dei depositi garantiti (100mila euro a depositante), presentandolo come compromesso rispetto alla proposta iniziale di versare l'1,5% e il rilancio di alcuni Paesi di elevarlo al 2%. Le banche italiane sarebbero chiamate a costituire un fondo di circa 5 miliardi di euro. Per addolcire la pillola amara, il versamento avverrebbe in un decennio.
Da circa un anno il Fondo italiano ha informato gli organi dell'Unione, i parlamentari europei e le autorità italiane delle conseguenze negative che si avrebbero in caso di approvazione della direttiva. Nell'attuale delicata situazione del credito, che lo stesso Mario Draghi ha recentemente ricordato, molte banche incontrerebbero nuove difficoltà. La nostra contrarietà poggia sui risultati di una ricerca voluta dalla stessa Commissione sul funzionamento dei fondi di garanzia nei Paesi membri dalla quale si evince che il fondo italiano basato su una contribuzione ex post (ossia su domanda rivolta alle banche secondo necessità) pari allo 0,4% è congruo ed è stato ben gestito sotto la Vigilanza delle aziende di credito della Banca d'Italia. Una volta tanto che l'Italia offre un buon punto di riferimento (il cosidetto benchmark), la Ue propone la soluzione che ha avuto le peggiori performance, quella dei fondi con versamenti ex ante. Il problema che preoccupa non è solo l'entità del versamento, pur di rilievo, ma il meccanismo in se stesso. Infatti, pur essendo stato inizialmente ideato per fronteggiare le crisi sistemiche, ambizione poi abbandonata, si potrebbe tramutare in causa delle stesse.
Se utilizzato per effettuare interventi, il Fondo ex ante deve essere ricostituito all'atto dell'utilizzo. Funziona quindi sempre e comunque con versamenti ex post. In caso di crisi di poche banche, ma non di molte - altrimenti tutti i Fondi, anche costituiti ex ante, saltano, come accaduto per quello inglese e americano - le società di rating e il mercato possono calcolare gli effetti della ricostituzione degli importi utilizzati, creando attese di fallimenti a catena delle banche a seguito dell'onere da sopportare. Non è necessario attendere che l'onere si manifesti perché ciò avvenga, basta che sia tra gli eventi possibili, tra l'altro neutralizzando il vantaggio offerto di versare un decimo all'anno. A maggior ragione accadrebbe se gli importi, come vuole la direttiva, vengono utilizzati anche per effettuare interventi di sostegno a banche in difficoltà di liquidità, ma non insolventi. Come sta accadendo per il Fondo salva Stati europeo, se gli importi versati ex ante sono inferiori a quelli potenzialmente necessari, il fondo non risponderebbe allo scopo di garantirebbe i depositanti in quanto metterebbe esso stesso in difficoltà le banche. Il Regno Unito, che ha sperimentato l'inutilità della formula ex ante, la pensa come noi, mente le solite Germania e Francia, che con noi avevano rappresentato il blocco di maggioranza contro il provvedimento, hanno deciso di abbandonare questa posizione e sostenere la contribuzione ex ante nella misura dell'1%, isolando l'Italia.
Continuare a prendere decisioni non basate sulla razionalità economica e una chiara idea delle conseguenze non porta molto lontano; anzi avvicina il tempo della vera crisi. Riteniamo perciò nostro dovere far conoscere la posizione portata avanti con fermezza e discrezione nei centri decisionali competenti per lasciare tempo di decidere sul da farsi. Poiché ci sembra che ciò non sia avvenuto, riteniamo opportuno evidenziare le conseguenze perverse del sistema di garanzia che si intende modificare.
(*) Paolo Savona è presidente
del Fondo interbancario di tutela dei depositi
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