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Questo articolo è stato pubblicato il 21 dicembre 2011 alle ore 07:51.
L'ultima modifica è del 21 dicembre 2011 alle ore 07:44.

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Alla Bce, raccontano alcuni insider, la giornata di ieri è trascorsa facendo conti: non quelli sugli acquisti forzati di BTp o di Bonos - un'operazione che ha contribuito ad allargare il bilancio di Eurosystem fino alla cifra record di 2.494 miliardi di euro - bensì i conti sull'ammontare di liquidità che sarà chiesto oggi dalle banche europee nella prima asta illimitata con scadenza a 3 anni mai effettuata dalla Banca centrale europea.

Le banche potranno chiedere alla Bce tutto il denaro di cui hanno bisogno, pagandolo appena l'1% e potendolo reinvestire come vogliono: dai titoli di Stato ai mutui, dai prestiti a imprese e famiglie fino (o forse soprattutto) al pagamento delle cedole sui bond in scadenza nel 2012. Un'operazione di portata straordinaria, quella dunque messa in piedi da Draghi, che pur presentando alcuni rischi sistemici è stata bene accolta dai mercati (dalle Borse agli spread): secondo le prime stime, il sistema bancario europeo chiederà oggi alla Bce tra i 400 e i 600 miliardi di euro, una cifra che già da sola è in grado di coprire gli oltre 400 miliardi di euro di bond bancari in scadenza nel 2012. Scadenze che hanno rappresentato finora un incubo finanziario per le banche europee e soprattutto per quelle francesi: con il mercato dei capitali e quello interbancario praticamente congelati, il rischio di un'incombente crisi di liquidità ha tenuto lontani gli investitori dai titoli bancari e dalle Borse. Basterà tutto ciò? Per i mercati questa è solo una gamba su cui deve camminare la ripresa dell'Europa. L'altra è quella della politica e della riforma dei trattati.

In questo contesto, le banche italiane si sono prenotate in massa allo sportello della Bce: già ieri si parlava di un collaterale per circa 50 miliardi di euro da dare in garanzia per prestiti che potrebbero raggiungere i 150 miliardi di euro, una cifra che copre abbondantemente le scadenze di bond nel 2012 (130 miliardi) e soprattutto quelle dei due big, UniCredit (20,5 miliardi) e Intesa Sanpaolo (11,3 miliardi). Non è un caso, dunque, se ieri sono stati proprio i titoli bancari a guidare il rally delle Borse: con il piano-Draghi, le banche dell'eurozona sono state messe di fatto in grado di bypassare un mercato dai costi improponibili ed evitare quindi un ulteriore de-leverage, fornendo ancora credito all'economia reale. O almeno questa è la speranza.

Del resto, è utile ricordare quanto ha detto Mario Draghi il 15 dicembre scorso in un discorso alla Ludwig-Erhard Foundation (Erhard è stato cancelliere della Germania negli anni 60): «Abbiamo creato un'operazione di rifinanziamento a lungo termine con una maturità di tre anni: mai era stata fatta un'operazione di tale portata».

«L'obiettivo ha detto il Governatore della Bce è quello di dare alle banche un orizzonte temporale più lungo nella pianificazione della liquidità: l'operazione permetterà di evitare il ribilanciamento delle scadenze delle attività e delle passività attraverso una stretta creditizia a lungo termine». Il messaggio di Draghi, in sostanza, è che le banche possono utilizzare i fondi come vogliono - anche per comprare titoli di Stato dei rispettivi Paesi - ma che lo scopo dell'operazione riguarda prima di tutto il sostegno all'economia reale in una fase molto incerta sul piano finanziario e più che insidiosa sotto quello macroeconomico.

Anche se l'esito finale auspicato da Draghi dipenderà dai comportamenti concreti delle banche - sul cui utilizzo dei fondi, visto il regalo ricevuto, sarebbe bene vigilare ora con un'attenzione in più - è chiaro che gran parte dei timori sugli effetti collaterali dell'asta sembrano destinati a ridimensionarsi. In particolare, molti economisti hanno denunciato la pericolosità del travaso di rischio che si sarebbe venuto a creare tra Stati e banche nel momento in cui gli istituti avessero utilizzato i prestiti della Bce per comprare i titoli di Stato del proprio Paese: prendendo denaro all'1% per tre anni e reinvestendolo tutto su un titolo di Stato che rende il 5% o anche di più, l'affare era garantito ma le banche si sarebbero trasformate in bombe a orologeria nel caso di una nuova crisi di fiducia.

Anche se questa possibilità è ancora aperta per le banche - che potrebbero comunque coprirsi dal rischio aggiuntivo con degli swap o altri derivati - la scommessa della Bce è che non assisteremo a un 'carry-trade' sui titoli di Stato, ma più che altro dovremmo non assistere a un ulteriore crollo dell'attività creditizia all'economia reale. Ed è bene ricordare che quest'ultima, in Europa, andrà sicuramente peggio degli Stati Uniti, che anche ieri hanno sorpreso con dati sul mercato immobiliare in ripresa decisa, seppur rilevati su serie storiche piuttosto volatili.

Se, dunque, il piano-Draghi rappresenta la prima vera risposta al nodo-liquidità delle banche, la manovra della Bce è senza dubbio il meglio che potevano auspicare anche gli investitori: le banche, infatti, potrebbero ricostituire delle riserve di capitale senza diluire gli azionisti, fatto non secondario dopo il diktat sulle ricapitalizzazioni lanciato dall'authority di vigilanza europea. La Bce ha insomma chiuso il 2012 inaugurando una strategia che potrebbe cambiare le carte sul tavolo della crisi finanziaria. Per risolvere la crisi del debito e dare un futuro all'euro e all'Europa, invece, i mercati aspettano ancora che la politica faccia la sua parte.

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