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Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2011 alle ore 07:56.
L'ultima modifica è del 23 dicembre 2011 alle ore 07:24.

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Il voto finale del Senato alla manovra Monti permette di fare un primo bilancio del cammino governativo. Si possono fissare tre punti.
Primo. L'esecutivo non corre pericoli al momento. I partiti ovviamente non lo amano, soffrono il parziale esautoramento, ma non hanno alternative. Al massimo si assiste a un gioco delle parti.

Le battute di Berlusconi («se continua a imporre tasse, meglio tornare a votare») sono appunto solo battute: l'ex premier non intende assumere alcuna iniziativa destabilizzante e se ne sta sulla riva del fiume in attesa di eventi.

Semmai lo preoccupa l'agitarsi della Lega, in vista della prossima tornata amministrativa prevista nella prossima primavera. «Tornare al voto» non è neanche una larvata minaccia: è un modo di dire qualcosa per non demoralizzare più di tanto i militanti, ma Berlusconi è il primo a sapere che le tasse sono state già messe e che nei prossimi giorni assisteremo piuttosto a un inizio di «fase due», destinata - nelle intenzioni - ad alleggerire il sistema dalle sue gravose bardature. A cominciare dal mercato del lavoro.

Simile è il comportamento di Bersani. Quando il segretario del Pd stigmatizza in polemica con la Fornero: «Toccare l'articolo 18? Ma siamo matti?», egli sa in realtà che Monti non intende affrontare con l'ariete un tema così spinoso e complesso. Sotto questo aspetto sono stati utili i colloqui separati dei due leader politici con il presidente del Consiglio. Entrambi hanno confermato al premier il loro sostanziale sostegno e tuttavia ognuno ha potuto usare, rivolgendosi ai propri sostenitori, un linguaggio «di parte». Tant'è che Monti si è sentito di affermare ieri, con un pizzico di spavalderia: «L'appoggio dei partiti al governo è molto più grande di quello che gli stessi partiti lasciano intendere». Come dire: non avete altra strada.

Secondo. Quando il presidente del Consiglio rende noto che «la fase due è già cominciata», egli si assume una precisa responsabilità riformatrice. I risultati dovranno essere visibili in tempi ragionevolmente brevi perché gli italiani sono oberati da un fardello fiscale talmente pesante da voler vedere in fretta qualcosa di concreto sull'altro piatto della bilancia. Ed è ovvio che le forze politiche saranno consultate volta per volta sui passi che il governo intende compiere. Man mano che l'esecutivo 'tecnico' va avanti, il ruolo delle forze politiche dovrebbe crescere. Lo strano e non dichiarato asse fra Pdl, Pd e terzo polo ha una sua ragion d'essere, purché nessuno commetta gravi errori o pretenda troppo. Come dice Casini, «bisogna rendere compatibili le differenze».

Terzo. Il 2013 non è così lontano e le forze politiche devono prepararsi a quella scadenza insieme politica ed elettorale. Per ora sono soprattutto i centristi del terzo polo - grandi sostenitori del governo - a porsi il problema della Terza Repubblica e dei suoi assetti istituzionali. Ma anche un critico di Monti come Giuliano Ferrara scrive su 'Panorama' che è ora di ragionare sui futuri equilibri di potere, se si vuole che la politica torni ad avere senso.

Il discorso è ancora vago, ma il passaggio che si profila è decisivo. Tutti immaginano, e qualcuno teme, che all'ombra di Monti il sistema politico sarà costretto a rigenerarsi. Ma in pratica cosa significa? Affinché questo anno e mezzo sia messo a frutto occorrono condizioni che ancora non s'intravedono. Due, in particolare. La prima è una nuova legge elettorale per la quale manca oggi il minimo accordo. La seconda è la volontà comune delle maggiori forze di sedersi a un tavolo per discutere il profilo complessivo della Terza Repubblica. Con l'intenzione, s'intende, di accordarsi sulle riforme da realizzare. Dalle quali discenderanno le nuove alleanze. Ma anche qui siamo in alto mare.

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