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Questo articolo è stato pubblicato il 27 dicembre 2011 alle ore 08:46.

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Per oltre un decennio è stato detto e scritto dalla maggior parte degli economisti – con l'eccezione dello scrivente e di pochi altri - che l'Italia era un Paese in declino nel commercio internazionale. La "prova delle prove" di ciò era che le esportazioni italiane in volume andavano malissimo.

E su questa prova è stato costruito un teorema infondato: l'Italia, avendo specializzazioni sbagliate e imprese troppo piccole, arretrava nel commercio mondiale con una performance peggiore non soltanto di quella della "super-Germania" ma anche di Francia e Gran Bretagna.
Montagne di affermazioni e scritti sono ora state spazzate via in un sol soffio dall'ultima revisione dell'Istat dei dati di contabilità nazionale.

Le vecchie serie dell'export in volume erano deflazionate con i rudimentali valori medi unitari all'esportazione che non tenevano conto in alcun modo dei profondi cambiamenti strutturali e qualitatitivi che negli anni dal 2000 in poi hanno interessato il nostro export. Cambiamenti che hanno riguardato sia la tipologia dei beni tradizionali per la persona e la casa, i più attaccati dalla concorrenza asimmetrica asiatica, che hanno reagito prontamente con un maggiore orientamento delle nostre imprese verso minori volumi ma verso produzioni di abiti, scarpe e mobili di maggior pregio, sia lo stesso mix dell'export italiano nel suo complesso, in cui la meccanica è divenuta vieppiù importante degli stessi beni tradizionali, al punto che oggi il surplus italiano meccanico con l'estero è ormai assai superiore a quello di moda, arredo-casa ed alimentari insieme.

Le vecchie serie statistiche non avevano "capito" assolutamente niente di tutto ciò. E' stato sufficiente che l'Istat sostituisse come deflatori i vecchi valori medi unitari all'export con i prezzi all'esportazione per modificare completamente la storia. Altro che declino! Altro che periodo da dimenticare! L'export italiano in volume secondo le nuove serie è cresciuto tantissimo.

Le vecchie e le nuove serie dell'export italiano in volume cominciano a divergere in modo clamoroso dal 2003 in avanti, quando cioè, la moda e l'arredo-casa, dopo lo "tsunami" cinese, puntano di più sui segmenti a più alto valore aggiunto e la meccanica a sua volta diventa il settore di punta del "made in Italy", più che compensando gli affanni dei settori tradizionali. I dati sono sconvolgenti. Secondo le vecchie serie, dal 2003 al 2008 l'export italiano di beni in volume aumenta solo del 12% contro incrementi del 16% delle esportazioni di Francia e Gran Bretagna e una crescita addirittura del 49% dell'export di beni tedesco. Se estendiamo la nostra analisi all'intero periodo 2003-2010, l'export di beni italiano, secondo le vecchie serie in volume, risulta addirittura diminuito dello 0,5% contro aumenti del 12% circa per Francia e Gran Bretagna e un balzo del 44% dell'export tedesco.

Con le nuove serie Istat deflazionate con i prezzi all'export la musica cambia completamente. L'export italiano di beni in volume in realtà è aumentato del 27% tra il 2003 e il 2008, assai più di quello francese ed inglese. E persino considerando gli effetti della recessione non completamente recuperata del 2009, tra il 2003 e il 2010 l'export di beni del nostro Paese risulta comunque cresciuto del 17% contro aumenti del 12% delle esportazioni di Francia e Gran Bretagna. Al lettore non sfuggirà l'enormità della cosa: infatti, rispetto alle vecchie serie, che tra il 2003 e il 2010 indicavano una flessione dello 0,5% dell'export italiano di beni in volume, le nuove serie ufficializzano una crescita del 17%. Una differenza come tra la notte e il giorno, tra l'inferno e il paradiso.

La verità messa in luce dalle nuove serie dell'export è cruciale per tre motivi, assai importanti anche al fine della comunicazione verso i mercati e le istituzioni internazionali: 1) L'export italiano non era e non è affatto in declino. Nei primi otto mesi del 2011 in valore abbiamo fatto persino meglio della Germania e l'export italiano verso i Paesi extra Ue, anche a crisi internazionale ormai inoltrata, nel novembre 2011 ha tenuto sempre molto bene, con una crescita congiunturale in valore del 3,1% su ottobre. 2) L'Europa non può darci lezioni gratuite di competitività, magari impartite da improvvisati professori. Il commissario Rehn e il suo ufficio studi farebbero bene ad aggiornarsi sul tema tenendo conto delle nuove serie Istat. 3) Se da un lato il nostro Paese aggiusta con successo i suoi conti pubblici con la manovra "salva-Italia" del governo Monti, dall'altro con le nuove serie dell'export in volume aggiunge ora ulteriore credibilità al suo profilo e può stare ancor più a testa alta in Europa.

Le nuove serie dell'Istat sull'export dimostrano che il vero problema dell'Italia non è la competitività esterna, pur schiacciata dal peso dei molti ostacoli strutturali che limitano le nostre imprese, che inoltre necessitano di crescere dimensionalmente e di internazionalizzarsi di più per reggere la sfida della globalizzazione. Il nostro vero problema è la debole domanda interna, che l'austerità non contribuirà certamente a far lievitare nel breve termine ma che riforme e liberalizzazioni più coraggiose potranno rilanciare più a lungo termine.

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