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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2012 alle ore 08:13.
Vorrei aggiungere un punto di vista laterale alla discussione aperta sui bandi per il finanziamento alla ricerca universitari (Prin e Firb) dalle pagine di questo giornale dall'intervento dei direttori del Sant'Anna e della Scuola Normale di Pisa.
L'Italia non ha materie prime, non ha petrolio, gas, minerali, eccetera. Ha tuttavia una risorsa primaria rinnovabile, ed ecologicamente sostenibile. Essa è costituita dalla stratificazione della sua cultura classica, dalla sua storia, archeologia, arte, filologia, eccetera. È una risorsa ancora non interamente sfruttata (anzi a volte, si direbbe, persino un po' dissipata). È una risorsa ad ampio raggio e generosamente distribuita su tutto il territorio nazionale. Nessun pezzetto di questo Paese ne è privo e, quel che più conta, essa è diversa e differenziata da Nord a Sud e persino da Est a Ovest. È una risorsa che va studiata, ricercata, estratta, accudita, riparata, raccontata, comunicata, e partecipata. Un bene nazionale.
Che nei Programmi di ricerca di interesse nazionale (Prin) o nel Firb “futuro in ricerca” destinato ai giovani, il tema dei nostri beni culturali – nel senso più ampio del termine – non solo non appaia esplicitamente, ma risulti persino disincentivato è poco comprensibile. Eh sì, perché i bandi Prin e Firb, al momento, richiedono che le ricerche siano indirizzate principalmente (con una penalizzazione del 25% del punteggio se così non è) verso i macroargomenti di Horizon 2020: sanità, evoluzione demografica e benessere, sicurezza alimentare, agricoltura sostenibile, ricerca marina e marittima e bioeconomia, energia sicura pulita ed efficiente, trasporti intelligenti verdi e integrati, clima, efficienza nelle risorse e materie prime, società inclusive innovative e sicure.
Tutti argomenti rilevanti e di straordinario interesse comune. E infatti l'Italia – attraverso le sue istituzioni di ricerca e il Ministero stesso – ha contribuito alla loro individuazione. Ed è quindi giusto che l'azione del Ministero, anche con la leva finanziaria, sia volta a incentivare la partecipazione dei nostri ricercatori ai bandi e agli schemi di finanziamento di Horizon 2020 (en passant: molte risorse dell'attuale Settimo Programma Quadro non sono state ancora assegnate, sarebbe opportuno che si stimolasse la partecipazione ai bandi aperti adesso… anche questo sarebbe propedeutico ai bandi di Horizon 2020).
Ma che questa azione pro futuro tagli fuori oggi e di fatto una parte molto consistente delle ricerche di punta nell'area delle scienze umane e sociali non è comprensibile. Ci si potrebbe attendere una certa complementarità delle risorse nazionali rispetto a quelle europee soprattutto quando le ricadute sul tessuto produttivo possono essere a breve e consistenti (si pensi al turismo, ma anche al cinema, al teatro, alla musica, alla comunicazione multimediale, eccetera).
Complementarità che dovrebbe valere anche nel sostegno alle scienze di base in senso lato (astronomia, matematica, biologia, fisica, chimica, eccetera)… Perché la pianta della scienza applicata e dell'innovazione dia frutti domani essa va innaffiata e il terreno reso fertile oggi e qualche investimento va fatto a lungo termine. È un po' retorico, ma è vero.
Trovo inoltre preoccupante – e un tantino “diseducativo” per il sistema universitario – che si colleghi il numero massimo di progetti coordinati che un ateneo può presentare non già alla valutazione dei pari o al “success rate” dei progetti presentati negli anni precedenti ma al numero di dipendenti. È come se l'Unione europea imponesse agli altri paesi europei di coordinare una quota di progetti proporzionata alla rispettiva popolazione accademica… Non entro per ragioni di spazio in altri aspetti critici della applicazione dei bandi: ne hanno già parlato altri e se ne sta discutendo nelle sedi istituzionali, ma la preoccupazione è grande anche per l'impatto su atenei impegnati nella applicazione della 240 e nella valutazione da parte dell'Anvur.
Il ministro Profumo sta compiendo gesti molto significativi nei confronti dell'Università. L'apertura dei bandi Prin e Firb sono segnali di grande rilievo e in decisa controtendenza se si considera la situazione attuale del Paese e la pesante manovra congiunturale che il Governo Monti sta attuando. Occorre ridare fiducia al sistema universitario e della ricerca. E questo può essere fatto solo immettendo risorse e attenzione alla loro distribuzione. Bene quindi aver riaperto i canali istituzionali di finanziamento alla ricerca quindi il plauso al primo posto. È necessario però mantenere ferma la barra della valutazione e della competizione tra Atenei, e creare le condizioni per sostenere in maniera rigorosamente meritocratica anche gli studi culturali e le ricerca fondamentali e di base perché concorrono al bene comune, alla capacità di attrazione, e alla ricchezza del Paese.
Dario Braga è prorettore alla Ricerca dell'Università di Bologna
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