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Questo articolo è stato pubblicato il 10 gennaio 2012 alle ore 08:16.
L'ultima modifica è del 10 gennaio 2012 alle ore 08:29.

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Vedremo a cosa approderà il negoziato sul lavoro. In apparenza il clima non è troppo cattivo: la Cgil ha temuto d'essere scavalcata e isolata, ma il governo ha dato rassicurazioni in proposito e ieri Susanna Camusso è arrivata persino a elogiare il premier. Si cerca di evitare gli attriti discutendo, come dice Bonanni, "di ciò che unisce, non di ciò che divide". Poi, certo, arriverà il momento di scendere dal cielo dei principi al terreno delle scelte concrete, anche per dare un senso a quel nuovo "patto" che tutti a parole propugnano anche se ognuno lo interpreta in modo diverso.

E allora sarà facile verificare chi, anche nelle grandi organizzazioni sindacali, intende condividere - con le dovute garanzie - uno sforzo di responsabilità nazionale.

Quel che è sicuro, l'ostacolo immediato non è il lavoro, bensì il programma delle liberalizzazioni. Qui lo scontro con le corporazioni vuol dire, almeno sulla carta, conflitto con i loro referenti politici. Monti e Passera hanno però compreso che esiste solo un'ipotesi: andare avanti e rompere le incrostazioni a tutti i livelli, facendo attenzione ad allargare il ventaglio, così da non sembrare vessatori verso questa o quella categoria specifica. Magari le più deboli. Sotto l'aspetto tecnico, gli uffici sono al lavoro. Ma sotto il profilo politico la frattura che si è consumata ieri fra Lega e Pdl potrebbe, in via generale, aiutare Monti. Perché è chiaro che la decisione del Carroccio di votare a favore dell'arresto di Nicola Cosentino, proconsole berlusconiano in Campania, segna un "punto di non ritorno".

È la prova decisiva che il partito di Bossi intende archiviare la lunga stagione dell'intesa personale e politica con Berlusconi. Il che determina una serie di conseguenze. In primo luogo accentua l'isolazionismo leghista: contro Monti in maniera spesso scomposta, ma anche contro gli ex alleati. E quindi, se c'è una logica, il Pdl dovrebbe essere spinto a sostenere con più decisione l'esecutivo "tecnico". Restare a metà del guado non conviene più a Berlusconi e Alfano. Conviene invece integrarsi con Casini e Bersani per riuscire a contare qualcosa nelle strategie del governo. È un'esigenza comune a cui il segretario del Pd ha dato voce ieri. Ma per il centrodestra è vitale non farsi trascinare in una deriva pericolosa, tanto più che la Lega naviga ormai per conto suo e non è recuperabile a breve termine.

Ha ragione Rocco Buttiglione: «Il centrodestra non deve fare l'errore di regalare Monti alla sinistra». Non sarebbe la prima volta, basta ricordare il governo Dini. Ma questa volta è tutto molto più rischioso: la polemica sugli evasori e l'eventuale difesa a oltranza delle categorie "liberalizzate" rischiano di favorire, alla lunga, proprio questo esito. Già oggi Bersani, con lo slogan (efficace) "prima di tutto l'Italia", si propone come il baluardo numero uno del governo: forse intuendo che Monti non solo è l'ultima spiaggia, ma riesce pure a mantenere vivo un rapporto con l'opinione pubblica che i partiti possono solo invidiare.

Di conseguenza il presidente del Consiglio procede per la sua strada e le forze politiche devono misurare i loro passi. Contrastare le liberalizzazioni, e offrire uno scudo alle corporazioni bellicose, può essere un autentico "boomerang". Così come è controproducente intimare al governo di non occuparsi della Rai, con l'argomento che un esecutivo "tecnico" non è titolato a riformare o magari privatizzare in parte l'azienda. Naturalmente non è così, visto che il Tesoro è il principale azionista di viale Mazzini e che i partiti esprimono di fatto gli equilibri del Consiglio d'amministrazione. In altre parole, Monti ha il pieno diritto di intervenire sulla "governance" della Rai. Se il Pdl gli mette i bastoni nelle ruote, commette un nuovo errore politico e dà un'altra spinta a modificare il delicato assetto su cui si regge l'esecutivo. Quasi un suicidio.

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