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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2012 alle ore 09:41.
L'ultima modifica è del 14 gennaio 2012 alle ore 09:41.
A Bruxelles c'è stato un fitto giro di consultazioni telefoniche tra i vertici della Commissione e quelli del Parlamento europeo. Non capita spesso, ma stavolta esecutivo e legislativo si sono trovati in pieno accordo: l'esame della proposta di riforma delle società di rating deve partire al più presto.
Perché sarà stata una coincidenza, ma il fatto che S&P abbia tagliato mezza Europa proprio mentre si discuteva sull'esame del pacchetto di riforme, ha tutto il sapore di un «avvertimento». Del resto, le parole chiave della riforma sono una minaccia allo strapotere delle agenzie: «responsabilità, concorrenza e trasparenza». Le misure prevedono non solo la sospensione del rating per i Paesi in piena crisi debitoria, ma soprattutto la possibilità per gli investitori di chiedere alle autorità giudiziarie una condanna per danni nel caso in cui le agenzie abbiano commesso colpe nei loro giudizi. Come dimenticare, del resto, gli scivoloni delle agenzie su casi come Parmalat e Lehman Brothers? O la leggerezza con cui erano stati dati i massimi voti ai subprime e alla giungla dei derivati? Per non parlare dei rating sovrani: ormai, dagli Usa all'Europa, non c'è governo che non accusi le agenzie di aver peggiorato la crisi annunciando tagli di voto senza giustificazioni davvero convincenti.
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