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Questo articolo è stato pubblicato il 15 gennaio 2012 alle ore 13:40.

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Se ancora aveva dubbi, ora davvero Mario Monti li ha cancellati: le indicazioni di Standard & Poor's sono un ulteriore motivo per approvare già giovedì le liberalizzazioni in versione ampia, robusta, senza passi indietro. Va poi intensificata l'offensiva diplomatica europea per un rafforzamento dei fondi Efsf e Esm. E, non ultimo, l'Italia dovrà agire in tutte le sedi internazionali per escludere dalle regole pubbliche sulla vigilanza ogni riconoscimento delle agenzie di rating.

All'indomani del «poco comprensibile» declassamento dell'Italia, il presidente del Consiglio ha tenuto ieri un vertice con il Governatore Ignazio Visco, con il ministro dello Sviluppo Corrado Passera e con il viceministro dell'Economia Vittorio Grilli. Obiettivo: per fare il punto della situazione e studiare le prossime mosse, anche in vista dell'apertura dei mercati di domani.

Occhi puntati, innanzitutto, sull'apertura dei mercati di domani. Le preoccupazioni non mancano, ma c'è anche una fiducia fondata sulla considerazione che dal rapporto dell'agenzia di Manhattan non emergono fattori negativi nuovi sull'Italia. Al contrario c'è un riconoscimento della strada corretta su cui il Governo italiano si è incamminato. E d'altra parte i grandi operatori di mercato hanno cominciato da alcuni mesi a dare meno importanza ai giudizi delle agenzie, come dimostrato in occasione degli ultimi downgrade. In ultima istanza, poi, c'è sempre la rete di protezione della Bce che sarebbe pronta a scattare.

Questo non vuol dire che quanto avvenuto venerdì va ignorato. È uno stimolo. Uno stimolo prima di ogni altra cosa a tenere la barra dritta e approvare già giovedì un pacchetto robusto, credibile e strutturale di liberalizzazioni. Il comunicato di Standard & Poor's, in fondo, è il miglior testimonial e il miglior alleato del Governo sulla necessità di varare quel pacchetto senza cedimenti. Dopo i giudizi espressi dall'agenzia «sui rischi di una frenata in seguito alle pressioni dei gruppi di interesse», sarà più difficile infatti, per le lobby e per gli eventuali loro sostenitori nei partiti, provare a smontare il disegno ampio messo a punto dal Governo.

Barra dritta, dunque, sul programma di stimoli alla crescita economica già predisposto e illustrato in queste settimane. Sulle riforme europee, invece, serve davvero un cambio di passo. Qui il premier e il Governo sono determinati a rafforzare il pressing sui partner dell'Unione per accelerare gli interventi anti-crisi, nella consapevolezza di avere maggior forza dopo i declassamenti e l'analisi di Standard & Poor's. A questo punto è ovvio per tutti i Paesi europei, a cominciare dalla Germania, che le decisioni vanno prese con urgenza.

Quali decisioni? Il punto centrale per l'Italia è il rafforzamento dei fondi salva-Stati Esfs e Esm. È vero che i declassamenti possono portare a un aumento dei costi di raccolta, ma questo è un motivo in più per irrobustire con iniezioni di capitale e di operatività i due fondi. Venerdì ci sarà una nuova discussione su questo con i partner europei e ieri a Palazzo Chigi c'era un moderato ottimismo.

Ovviamente l'azione dei fondi da sola potrebbe non bastare. E la convinzione italiana è che serva un'altra gamba fondamentale per rendere efficace sui mercati il firewall europeo contro il fallimento dei Paesi dell'Unione. Questa gamba si chiama Bce. Ma solo se gli Stati, il Tesoro dei singoli Stati, avranno fatto la propria parte mettendo in piedi fondi di salvataggio credibili, la Banca centrale europea potrà con serenità intervenire nella propria autonomia.

Non va fatto alcun pressing su Francoforte, è la convinzione del Governo italiano. In nessun senso. Parte dei problemi dell'euro derivano proprio dalla percezione fuori dal continente di Stati e istituzioni divisi sui rispettivi ruoli e sulle rispettive responsabilità. Nessuna pressione dunque. Ma nel senso che alla Bce non va detto né quello che deve fare né quello che non deve fare. Quando i Fondi funzioneranno, si confida nel Governo italiano, la Bce nella sua autonomia farà la propria parte.

Infine il capitolo delle agenzie di rating. Al di là dei giudizi comunque positivi espressi sull'Esecutivo dei tecnici, sulla necessità che Monti non venga fatto cadere prima del tempo e sulla bontà della sua strategia di riforme, resta una profonda amarezza per un declassamento di due notches che è giudicato ingiusto e intempestivo (tanto è vero che i mercati stessi, nella giornata di venerdì, non hanno penalizzato più di tanto l'Italia).

Ma le agenzie sono istituti privati e come tali vanno presi. Non ha senso dichiarare loro guerra. E l'Italia non ha intenzione di farlo. Sono loro stesse, del resto, con i loro errori recenti a condannarsi da sole, perché stanno progressivamente perdendo la fiducia degli investitori privati. Una cosa però l'Italia la farà: premerà in tutte le sedi internazionali, lì dove vengono stabilite le regole della vigilanza internazionale, perché ogni riferimento formale alle agenzie di rating venga escluso. Come dire: Standard & Poor's e le sue sorelle sono soggetti privati che si giocano la loro credibilità sul mercato, ma nessuna legittimazione deve più venire loro dalle istituzioni pubbliche. E su questo a palazzo Chigi contano di avere, almeno in Europa, alleati importanti.

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