Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 22 gennaio 2012 alle ore 14:53.
L'ultima modifica è del 22 gennaio 2012 alle ore 14:54.

La crisi globalizzata sta portando in tutti i Paesi del mondo riforme profonde che incidono non solo sulla vita economica dei cittadini ma anche e soprattutto sulla loro vita sociale. Le evoluzioni dovute alle riforme politiche sembrano più che allontanare le varie parti del mondo, avvicinarle in uno strano sortilegio dovuto alla magia delle parole.

E così, negli Stati Uniti d'America e in Europa si parla di capitalismo, come se ne parla in Russia e in Cina, o nei Paesi emergenti, Brasile ed India.
La ragione sta nell'identica struttura del suo strumento principale, che sono le grandi Corporations. La differenza è data solo dall'attributo che viene accostato al sostantivo: capitalismo finanziario, capitalismo di Stato, di cui ha dato ampio resoconto l'Economist in questi giorni in edicola, capitalismo industriale, che con vaghe approssimazioni definiscono i tre capitalismi esistenti.

Dei tre certamente quello più in crisi e che ci tocca direttamente è il primo, anche se tutti sono condizionati dalla magia di una parola: la speculazione. Speculazione che è all'origine dell'ideologia del libero mercato di cui già più volte si è decretata la fine, mentre della speculazione non pare potersi fare a meno poiché, come già correttamente avvertiva Max Weber, è essenziale al concetto stesso di mercato. Sottolineava peraltro successivamente J.M. Keynes che quando la speculazione trasformava un Paese in un Casinò, le cose evidentemente sarebbero andate male.
Il problema si presenta invero ora più politico che economico, poiché le tre forme di capitalismo, ognuna con i modi suoi, stanno creando ormai intollerabili diseguaglianze sociali che trovano qualche sfogo nei vari movimenti di dissenso che invadono tutte le piazze del mondo.

Il capitalismo cinese, controllato dallo Stato o dal Partito, sembra raggiungere risultati migliori dal punto di vista di concetti altrettanto magici come il Prodotto interno lordo, piuttosto che la parità di bilancio, ma nell'ideologia continua a rispondere agli slogan magici del Presidente Mao, di Deng Xiaoping, o dell'«armoniosa società» confuciana. Di converso scadenti sono i risultati che riguardano il rispetto del benessere dei cittadini piuttosto che dei più basilari diritti umani. E ciò si verifica laddove lo Stato è il vero principale capitalista, poiché ne controlla le strutture ed è anche il vero e solo capitano d'industria.
La situazione non è diversa quando il rapporto è rovesciato. Dove la speculazione e la finanza controllano lo Stato, come succede in questo momento nelle democrazie occidentali, la stessa democrazia e i diritti dei cittadini sono traballanti. Anche qui la magia delle parole porta sovente a dimenticare i diritti per una fede economicista esoterica.

L'avvicinamento fra i vari capitalismi, sia pur nelle difformi e financo opposte strutture di controllo, sta nel privilegio al di sopra di ogni normativa, delle grandi Corporations, sia americane, quando "too big to fail", o italiane, quando considerate "di sistema" o "campioni nazionali" e le varie Corporations di Stato cinesi. Quale la differenza ad esempio tra Goldman Sachs e le varie Banks of China?
Non v'è dubbio allora che per quel che riguarda l'attuale per molti versi innovativa politica italiana, le pur corrette "liberalizzazioni" debbono essere accompagnate ad organiche visioni dei diritti dei cittadini. L'abolizione dei privilegi è certamente un fatto di grande democrazia, non a caso partito dalla Rivoluzione francese e dal Terrore, ma in questo momento deve assurgere a priorità assoluta per evitare che l'intero mondo si autodistrugga privilegiando falsi miti ed esasperando le disuguaglianze.

Le "deregolamentazioni" e le "privatizzazioni", che hanno costruito il terreno sul quale il capitalismo finanziario è stato legittimato prima ed esploso poi, vanno insieme a quel gruppo di parole magiche la cui principale è senza dubbio la "libera concorrenza", riguardo alla quale è sempre bene ricordare la definizione datane da Robert Reich nel suo volume intitolato Supercapitalismo, dove ha dimostrato che una fede sconsiderata nella libera concorrenza può distruggere i diritti dei cittadini, soprattutto i più deboli e quelli la cui ricchezza dipende solo dal proprio lavoro, quando questo non sia adeguatamente tutelato. Con la conclusione che l'appetito del consumatore vince sul diritto del cittadino, a tutto danno dell'uguaglianza che sta alla base della democrazia.

È importante allora ricordare che in ogni provvedimento politico da parte dello Stato, anche del nostro, è bene tenere presente un insegnamento universale di straordinario respiro, che è stato alla base dell'elaborazione dottrinale e politica di un grande italiano, Luigi Einaudi, il quale anteponeva ai falsi miti e alla magia delle parole, compresa la "meritocrazia" per i giovani!, il fondamentale principio della democrazia liberale, che lo Stato deve garantire ed è: «l'eguaglianza dei punti di partenza».

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi