Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 24 gennaio 2012 alle ore 07:58.

My24

La fase cruciale della biografia imprenditoriale di Leopoldo Pirelli, scomparso il 23 gennaio di cinque anni fa (ieri è stato ricordato in un convegno organizzato dall'Ispi a Milano), si giocò probabilmente fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, quando si misurò col problema della trasformazione manageriale dell'impresa di famiglia.

Un compito cui non si accinse il solo Pirelli (anche se nessuno lo affrontò con maggiore dedizione di lui), ma una leva di imprenditori quarantenni che si trovò rapidamente in una posizione di assoluto rilievo, convincendosi che la sfida determinante fosse costituita dalla modernizzazione della grande impresa, per attrezzarla a reggere la prova con la concorrenza mondiale. Era una generazione persuasa che l'impresa italiana dovesse prepararsi a navigare in mare aperto, senza complessi di inferiorità, e a partecipare al progresso della società, assumendosi le proprie responsabilità.

Leopoldo Pirelli si era formato all'interno della linea di comando dell'impresa di famiglia fin dagli anni della giovinezza. Aveva preso la guida aziendale nel 1965, a quarant'anni e subito dopo volle porsi alla testa di una stagione di cambiamento e crescita. Ciò richiedeva un respiro internazionale più vasto e modificare alla radice la mappa dei rapporti fra industria, società e istituzioni. Di qui l'attenzione per l'associazionismo imprenditoriale, per fare della Confindustria la protagonista della svolta.
Leopoldo Pirelli, al pari dell'amico e sodale Gianni Agnelli con cui condivise quel passaggio d'epoca, tributò sempre l'omaggio di una memoria deferente verso coloro che considerava i suoi maggiori. Non di meno, entrambi erano sicuri che bisognasse innovare le procedure dell'impresa, svecchiarne le forme di governo. Erano i quarantenni che si confrontavano per la prima volta coi problemi della corporate governance. L'espressione non era in voga, ma la ricerca di nuovi modelli di governo dell'impresa accomunava uomini come Pirelli, Agnelli, Roberto Olivetti. Questa propensione guadagnò loro la fama di "kennedyani" perché non volevano soltanto cambiare l'impresa, ma i suoi rapporti con la politica, le istituzioni, il sindacato. La Confindustria dei De Micheli e dei Cicogna, non sembrava loro più adatta ai tempi; non si riconoscevano nemmeno nell'impostazione dell'ormai anziano Angelo Costa, diffidente verso una generazione che a suo parere dava troppo ascolto ai "professori".

La celebre Commissione Pirelli, sorta nel 1969 con l'ambizione di cambiare da cima a fondo l'organizzazione confindustriale, nacque dall'attesa di un nuovo, più complesso e maturo periodo di sviluppo, destinato a succedere a quello convulso e accelerato del "miracolo economico". Il Rapporto finale che essa pubblicò nel febbraio 1970, a sintesi dei suoi lavori, resta fra i prodotti culturali più alti dell'industria italiana, ma con effetti pratici limitati rispetto alla portata delle questioni che poneva.

Perché la storia è andata così e le nostre grandi imprese sono entrate in crisi? Si potrebbe rispondere che i tempi del mutamento furono molto più lunghi di quelli ipotizzati e le resistenze interne oltremodo tenaci. Quando apparve il Rapporto Pirelli si era all'indomani dell'Autunno caldo e il riformismo degli industriali riscuoteva scarso credito perché era arrivato troppo tardi, quando il sindacato era uscito dalla minorità e aveva trovato la propria rivalsa. Ma soprattutto la grande impresa perse la battaglia dell'internazionalizzazione: alla fine degli anni Sessanta, la Fiat non riuscì ad acquisire la Citroën, così come non avranno successo i ripetuti tentativi della Pirelli di diventare un soggetto dominante del proprio settore.

Leopoldo Pirelli spese le sue energie migliori in questa battaglia, prima con l'esperimento della "Union" con la Dunlop, poi nello sforzo di ottenere il controllo di Continental. In questo senso, la sua biografia può essere considerata esemplare per la vicenda dell'industria italiana. Per questo, oltre che per la coerenza dell'impegno personale e l'onestà con cui prese atto delle sconfitte, la sua figura merita una seria considerazione storica.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi