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Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2012 alle ore 07:57.
L'ultima modifica è del 27 gennaio 2012 alle ore 08:33.

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«La storia è la somma delle cose che potevano essere evitate» sosteneva Konrad Adenauer. Ed è difficile dire se la crisi dell'euro poteva essere evitata. Il prossimo summit Ue sulla crescita può essere però importante.

Non è facile stabilire quanto la prolungata crisi dell'euro sia figlia dell'onda lunga della crisi americana del sub-prime del 2008 e quanto della successiva incapacità europea di arginare con misure efficaci un rapido contagio, diffusosi dalla Grecia.
Non bisogna farsi eccessive illusioni. Il prossimo summit europeo a Bruxelles non potrà segnare il punto di svolta finale, in grado di rassicurare definitivamente i mercati. Con le sue promesse di favorire la crescita e gli impegni a mantenere conti pubblici in ordine, può segnare però uno snodo cruciale, sottolineando quale sia l'obbligato doppio binario che può permettere (e ha già avviato) l'uscita dal tunnel. L'enfasi posta dal summit sulla crescita è già di per sé un dato politico significativo, importante per stemperare quell'ossessiva ortodossia teutonica sul rigore di bilancio, da più parti considerata un fattore (se non il fattore) decisivo nell'aggravare l'eurocrisi.

Certo, la prima bozza di conclusioni rivela che, come passati vertici europei dedicati all''occupazione', anche il prossimo focalizzato sulla 'crescita' non sarà in grado di svelare all'improvviso sorprendenti e rivoluzionarie ricette. Né, per il persistente veto tedesco, si spingerà molto in là su innovative promettenti strade come quella degli eurobond, anche se dovrebbe invitare ad «esaminare rapidamente» le proposte della Commissione per una fase pilota di 'project bonds'.
I 27 leader europei di apprestano a porre l'accento su necessarie riforme del mercato del lavoro, su concrete misure per commisurare il costo della mano d'opera alla produttività, «superando le discrepanze geografiche e di competenze», sul completamento del mercato unico, anche nei servizi e nell'energia, e sulla mobilitazione di fondi strutturali per aiutare le Pmi a sfuggire al credit crunch. Tutti temi da non sottovalutare.

Resta poi l'altro cruciale aspetto del vertice, quello più caro ad Angela Merkel. La finalizzazione del testo del fiscal compact, l'accordo sulla disciplina di bilancio dei membri dell'Eurozona fortemente voluto da Berlino. Ci sono ancora alcuni punti da smussare. Sono da rintuzzare gli ultimi attacchi di qualche Paese ultrarigorista che vorrebbe irrigidire il testo sul debito eccessivo, da definire bene le sanzioni comminabili dalla Corte di Giustizia e da trovare un compromesso con la Polonia che vorrebbe partecipare ai vertici dell'Eurozona.

Ma, soprattutto, resterà poi da verificare se la cancelliera - una volta chiuso il Trattato sulla disciplina di bilancio da esibire fieramente al Bundestag e agli elettori - aprirà veramente a un potenziamento dei fondi salva-Stati fino almeno a 750 miliardi, come alcuni segnali da Berlino negli ultimi giorni hanno lasciato intuire. Non c'è dubbio che Paesi come l'Italia sul terreno delle riforme si stiano muovendo nel senso richiesto. E l'inedito incontro pre-vertice a tre tra Monti, Merkel e Sarkozy (oltre a rimediare alla precedente cancellazione del presidente francese di un meeting di Roma) è un importante segnale. Una volta incassato il fiscal compact, dovrà però essere la Merkel a dimostrare che anche la Germania sa fare la sua parte per evitare che un disastro europeo diventi storia.

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