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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2012 alle ore 07:59.
L'ultima modifica è del 01 febbraio 2012 alle ore 07:33.

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Fino a quando il semplice nascere in un comune o in un altro segnerà il destino lavorativo di centinaia di migliaia di giovani italiani ciò significa che il mercato del lavoro in Italia non funziona, semplicemente perché non è stato in grado di sostituire l'ineluttabilità del fato o di governare i capricci del caso.
Né tantomeno funzionano le protezioni, le tutele, le garanzie, gli incentivi che finora hanno creato, tra mille frastuoni ideologici, soltanto due Italie sempre più lontane: una al Nord dove i senza lavoro sono relativamente pochi e, comunque, entro un tasso fisiologico e una al Sud, dove i giovani senza impiego e senza sbocchi sono il 50, ma anche il 60% in alcune zone. La doppia Italia, poi, si specchia anche nelle due realtà di uomini e donne: i maschi lavorano al 67,1%, le donne molto al di sotto al 46,8%. Se poi i due squilibri si uniscono si hanno donne condannate a una vita senza speranza lavorativa perché nate nel Mezzogiorno.

L'articolo 18, per questi mondi, è un'eco lontana di un dibattito specioso e distante dalla realtà. Lo sanno bene le parti sociali - anche quelle che più di altre hanno inalberato il tabù dei licenziamenti - che oggi si incontreranno per mettere a punto una road map da presentare, il più congiuntamente possibile, domani al Governo. L'idea di trovare una soluzione all'obbligo di reintegro, entro tempi ragionevoli e non lasciando correre i tempi impossibili della giustizia ordinaria, può essere una buona pista per il negoziato. Così come sembra ragionevole l'ipotesi di una forma contrattuale graduale di ingresso al lavoro (con tutele crescenti al crescere dell'anzianità del lavoratore) classificabile, in ogni caso, come contratto a tempo indeterminato.

In questa stagione di 'Italia anno zero' - perché tale sembra il Paese da quando il Governo dei tecnici ha messo in fila le priorità per la politica economica, sempre note ma mai gestite e affrontate nel corso di 20 anni - anche il tema lavoro si affaccia come emergenza: ci sono tre milioni di giovani che non cercano lavoro e non studiano, il più gigantesco spreco di capitale umano, di talento potenziale, di energia vitale in Europa. Una Europa che pur tuttavia conosce il tema della disoccupazione come allarme sociale (il tasso di senza lavoro al 10,4% è ai massimi dalla nascita dell'euro) evidente se ieri Josè Manuel Barroso ha scritto una lettera ai Paesi più coinvolti per indurli a usare al meglio le risorse europee.

Il mosaico del lavoro si compone della tessera sulla flessibilità, in entrata e in uscita da riequilibrare perchè oggi sbilanciata nella fase di avvio; della tessera sugli ammortizzatori sociali, oggi non ancora universali e pagati solo da imprese e lavoratori delle aziende manifatturiere ma gestiti, in deroga, per altri settori; della tessera sulla formazione professionale con l'esigenza di ricreare anche in Italia un tessuto di scuole di competenze tecniche mai decollato veramente.

Il resto lo deve fare, appunto, il mercato: un servizio efficiente di incontro tra domanda e offerta di lavoro, il più capillare possibile affidato alla professionalità di agenti pubblici e privati. Il lavoro in sé, tuttavia, viene dallo sviluppo delle idee e delle intraprese. Non c'è altra strada, e quando si è intrapresa, ha prodotto legioni di persone assistite, con uno stipendio ma senza un lavoro; un altro modo per sprecare capitale umano e capitale finanziario di un Paese che, certo, oggi non abbonda di risorse.

Per questo è stato importante l'esito dell'incontro europeo: la disoccupazione crescente e l'inattività dei giovani comincia a preoccupare i leader dell'Eurozona e non solo. La mobilitazione delle risorse non ancora spese può aiutare a creare occasioni di crescita e di impiego; la timida apertura tedesca verso l'idea degli eurobond - vero potente strumento per aumentare gli investimenti su scala continentali e, attraverso di essi, per aumentare l'occupazione - si spera possa diventare una posizione assai più convinta in un futuro, il più ravvicinato possibile. Resta il fatto che le regole del lavoro nulla possono se non si creano occasioni vere d'impiego: per questo è fondamentale recuperare anche una politica industriale ambiziosa: l'agenda digitale e le infrastrutture rifinanziate di recente vanno in questa direzione. Altro si può fare ancora. Con la consapevolezza che per creare lavoratori servono datori di lavoro.

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