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Questo articolo è stato pubblicato il 06 febbraio 2012 alle ore 08:13.
L'ultima modifica è del 06 febbraio 2012 alle ore 06:39.

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Nel 2012, purtroppo, le politiche sociali vivranno un momento storico. Per la prima volta diminuirà la spesa dei Comuni destinata ai servizi sociali e socio-educativi, novità eclatante in un settore già sottofinanziato.
Lo scorso decennio ha visto la spesa sociale comunale crescere in modo lento ma costante sino al 2009, toccando lo 0,42% del Pil.

Lo scenario è mutato nel recente biennio (2010-2011), un periodo di stabilizzazione, durante il quale i Comuni hanno mantenuto – con difficoltà – i livelli di offerta raggiunti. Nella fase appena cominciata (2012-2013), invece, la spesa sociale diminuirà: secondo le previsioni dell'Ifel, nel solo 2012 si ridurrà del 13 per cento. Il cambiamento si deve, principalmente, all'azzeramento dei fondi nazionali dedicati (Fondo nazionale politiche sociali, Fondo non autosufficienze, Piano nidi e altri) e alle robuste riduzioni nei trasferimenti indistinti dallo Stato ai Comuni.
Il pesante impatto dei tagli sui principali utenti dei servizi comunali – bambini piccoli (nidi), famiglie in povertà, anziani non autosufficienti e persone con disabilità – si coglie solo valutando i precedenti incrementi. Questi ultimi, infatti, sono risultati ben inferiori a quanto – secondo tutte le ricerche – sarebbe stato necessario: basti pensare che a metà anni '90 la spesa comunale ammontava allo 0,3% del Pil e la più autorevole commissione sul welfare in epoca recente (Commissione Onofri, 1997) ne suggerì l'aumento sino all'1,4 per cento. Non siamo andati oltre lo 0,42 per cento.

Il sociale, dunque, era quantitativamente inadeguato anche prima dell'attuale contrazione, lo confermano pure i confronti internazionali. Durante la Seconda Repubblica (1996-2011), nondimeno, l'incremento di risorse pubbliche destinate agli altri settori del welfare – come sanità, previdenza e contributi monetari assistenziali – è stato ben superiore a quello rivolto ai servizi sociali e socio-educativi.
La crescita degli stanziamenti rappresenta, pertanto, una tra le sfide per il ministro del Welfare, Elsa Fornero, e il sottosegretario con delega al sociale, Maria Cecilia Guerra. È senza scappatoie: se non si incrementano le risorse aumenteranno disagio e diseguaglianza. La scarsità di finanziamenti statali fa parte di un più ampio ritardo accumulato in Italia nella Seconda Repubblica, negli anni durante i quali gli altri Paesi europei hanno costruito un'infrastruttura nazionale per porre il welfare locale in condizione di operare al meglio. L'infrastruttura si compone di maggiori finanziamenti statali, della definizione di (pochi) standard nazionali e di una cabina di regia con compiti di monitoraggio e supporto delle realtà più deboli. In Italia è, in gran parte, ancora da costruire: il Governo Monti potrebbe utilizzare il tempo a sua disposizione per avviare l'opera.

Fornero e Guerra, però, devono confrontarsi anche con una spinta opposta, quella di chi vorrebbe ridurre ulteriormente la responsabilità pubblica nel sociale. Questa posizione è contenuta nel disegno di legge delega su fisco e assistenza presentato dal Governo Berlusconi in estate, del quale l'attuale Esecutivo sta valutando attentamente varie indicazioni.

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