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Questo articolo è stato pubblicato il 23 febbraio 2012 alle ore 07:54.
L'ultima modifica è del 23 febbraio 2012 alle ore 06:40.
Che la pratica delle produzioni a chilometro zero possa essere uno dei rimedi al crescente inquinamento di cui sono afflitte le nostre metropoli è cosa assodata. Così come è ormai acquisito che coniugare innovazione, design, architettura di qualità e ridotto impatto energetico è la ricetta qualificante di qualsivoglia intervento in edilizia e urbanistica.
Stabilire in un disciplinare di concorso internazionale di idee - quello nello specifico lanciato dall'Expo 2015 di Milano per le architetture di servizio dell'esposizione universale - che è titolo premiante in maniera prevalente la vicinanza entro 350 chilometri dalla sede dell'evento dei fornitori dei materiali necessari a realizzare le opere progettate appare però chiaramente come un'altra cosa: una sorta di protezionismo in salsa padana che va contro ogni regola sulla concorrenza. L'auspicio, nell'epoca del mercato globale e a un paio di mesi dal termine delle celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia, è che le legittime preoccupazioni ambientali non diventino una sorta di foglia di fico per giustificare, o peggio nascondere, procedure non corrette che vanno contro le regole comunitarie.
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