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Questo articolo è stato pubblicato il 29 febbraio 2012 alle ore 08:47.

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Per chi conosce bene gli irlandesi non si può dire che sia una vera sorpresa. Il primo ministro Enda Kenny ha però sgombrato il campo da ogni residuo dubbio e affermato che l'Irlanda terrà un referendum sul fiscal compact, il patto per un più stretto rigore di bilancio tanto caro a Berlino, sottoscritto da 25 Paesi europei (Regno Unito e Repubblica Ceca esclusi). E quindi torna ad aleggiare lo spettro di un altro «no» di Dublino, dopo i due rifiuti alla ratifica del Trattato di Nizza nel 2001 e a quello di Lisbona nel 2008, che obbligarono tutta l'Unione europea ad attardarsi per mesi e mesi, in attesa dei secondi verdetti degli elettori dell'isola nordica. In questo caso, però, la natura intergovernativa del fiscal compact ha fatto sì che la sentenza popolare irlandese non dia potere di veto di Dublino. Basterà infatti la ratifica da parte di 12 Paesi perché il nuovo patto entri in vigore. Rifiutando l'intesa stavolta gli irlandesi farebbero male soprattutto a se stessi, perché perderebbero la possibilità di accedere all'Esm, il nuovo meccanismo di salvataggio del quale potrebbero avere bisogno. I sondaggi danno per ora i «sì» in vantaggio. In ogni caso, meglio che prevalgano. Di tutto ha bisogno l'Eurozona, di questi tempi, tranne che di altri focolai di incertezza.

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