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Questo articolo è stato pubblicato il 02 marzo 2012 alle ore 08:08.
L'ultima modifica è del 02 marzo 2012 alle ore 08:17.

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Negli ultimi anni Lucio Dalla era diventato molto profondo, quasi meditativo. Da quando sono rientrato a Bologna dopo la fine dell'esperienza di governo ci sentivamo abbastanza spesso. Parlava di Dio, di spiritualità, dell'Italia di oggi.

Di come non amava la volgarità. Soffriva per la mancanza di poesia, nelle cose e nelle persone. E lui era effettivamente un poeta, con le bizzarrie e le profondità. La sua scomparsa mi ha molto colpito. E non solo me. Ieri ho visto piangere delle persone a Bologna. E mi costa scriverne. Forse in questi casi il silenzio sarebbe il modo migliore per onorarlo.

Lucio ha segnato la cultura italiana di questi ultimi quarant'anni come pochi. È stato un grande. E la sua partenza per il cielo lascia un vuoto, non solo per come è avvenuta. Così, all'improvviso. Ma anche per quello che lui e le sue canzoni hanno significato per gli italiani, per tutti noi italiani.

Tutte le nostre vite, in qualche modo, hanno avuto qualche sua canzone come colonna sonora. Cosa sarà. Piazza Grande, Anna e Marco, 4 marzo 1943... Ognuno di noi ha la sua personale chiusa nel cassetto dei ricordi. Quelli più intimi. La mia preferità è ovviamente Piazza Grande, ma anche 4 marzo 1943.

Un altro capitolo che ci accomunava è l'amore per Bologna. Lucio aveva un'apertura da "uomo-mondo" ma era bolognese nell'anima. In ricordo di lui molti ieri in città, dopo la notizia della sua morte, hanno deposto fiori sotto la sua casa, in via D'Azeglio, e in piazza Grande. Grande come lui.

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