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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2012 alle ore 09:22.

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Progetti di rilancio dei poli museali come «azione di valorizzazione territoriale» e come «attrazione di investimenti di enti, istituzioni e associazioni». È la politica cui si ispira il ministro per i Beni e le attività culturali, Lorenzo Ornaghi, nella richiesta, inviata due giorni fa al Cipe, di un finanziamento da 70 milioni di fondi europei (sviluppo e coesione) per nove progetti relativi ad altrettanti musei. I progetti maggiori riguardano Grande Brera a Milano (23 milioni), per cui «da molti anni si attende un sostanziale rinnovamento della Pinacoteca, necessario a causa dell'esiguità degli spazi disponibili», Palazzo Reale a Napoli (18 milioni) per «contrastare il significativo calo di presenze registrato nell'ultimi triennio», Capodimonte sempre a Napoli (7 milioni) per completare le opere avviate e le Grandi gallerie dell'Accademia a Venezia (7 milioni) per «garantire la sicurezza e la conservazione di un complesso architettonico di uso pubblico e dei beni in esso conservati» e garantire l'accesso pubblico. Le altre risorse andrebbero ai poli museali di Melfi, Cagliari, Sassari, Taranto e Palermo, mentre una richiesta aggiuntiva e separata di 7 milioni riguarda un decimo progetto, il Museo archeologico di Reggio Calabria.

La lettera di richiesta di Ornaghi è indirizzata non a caso al ministro della Coesione territoriale, Fabrizio Barca, che non solo ha la delega per il Cipe, ma è anche il ministro che coordina l'azione italiana in materia di fondi europei e di fondi Fas. Dal suo insediamento, Barca ha lanciato, d'intesa con Monti, una politica di recupero della capacità di spesa italiana, anche per evitare il taglio dei fondi da parte di Bruxelles. Il perno di questa azione è il «patto azione coesione» concordato con Bruxelles per 'requisire' le risorse delle amministrazioni che non spendono e destinarle a pochi, grandi investimenti prioritari per il Paese.
Ornaghi e Barca sanno benissimo che c'è una forte necessità, in questo momento, di rilanciare gli investimenti in «attrattori culturali», concentrando le risorse su un nuovo progetto culturale complessivo che comprenda alcune priorità immediatamente 'cantierabili'. Si è cominciato con la destinazione di una parte dei fondi al recupero di Pompei, ora si sposta quella politica anche sulla direttrice dei musei.

Il programma «attrattori culturali» è all'ultimo posto, per capacità di spesa, nella classifica dei programmi italiani finanziati dai fondi europei 2007-2014. Dei 641,17 milioni programmati per questo capitolo di spesa, a cinque anni dall'avvio del programma, sono stati impegnati solo 24,3 milioni (pari al 3,8%) e sono stati effettivamente spesi solo 21,74 milioni, pari al 3,39 per cento. Un altro paradosso di un Paese che non solo vanta di gran lunga il più ampio giacimento di beni culturali d'Europa, ma che lamenta anche carenza di finanziamenti proprio per la manutenzione e il restauro di opere di rilevanza mondiale. Basti ricordare, a questo proposito, proprio le polemiche dell'ex ministro Galan sui tagli di finanziamenti al ministero e la mancanza di risorse per evitare la disgregazione del sito archeologico di Pompei. Mentre effettivamente l'allora ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, procedeva con l'azzeramento dei fondi Fas ai Beni culturali e imponeva i tagli lineari, i fondi europei destinati agli «attrattori culturali» restavano fermi. Colpa di una programmazione largamente frammentata, della difficoltà a individuare le reali priorità e far convergere su quelle la volontà politica di tutte le istituzioni interessate.
Ora il Governo Monti vuole voltare pagina e recuperare il tempo perduto. Il «tesoretto» di oltre 600 milioni di fondi Ue non spesi è lì ed è bene riprogrammarlo rapidamente puntando su vere priorità. Il Cipe di oggi è il primo banco di prova di questa nuova strada.

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