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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2012 alle ore 09:08.
L'ultima modifica è del 09 marzo 2012 alle ore 09:08.
La rinascita economica di una nazione si costruisce sulla sua eredità culturale. E se il Paese in questione è l'Italia, allora si è avvantaggiati in partenza. La marcia in più, figlia di una cultura intrisa di ogni forma d'arte è «il Design (con la "d" maiuscola ndr), che si rivela centrale alla ripartenza dell'industria nel mondo e per il quale il Paese gode di grande credibilità a livello globale». Parola di Chris Anderson, direttore di Wired US e guru dell'innovazione di fama internazionale, oggi a Roma per World Wide Rome, secondo appuntamento del ciclo di conferenze organizzate da Tecnopolo Spa e Asset-Camera.
E quando gli chiediamo se intenda aderire al Manifesto per la cultura del Sole 24 Ore, Anderson risponde: «Certo, a patto che sia chiaro come il Design sia parte integrante di quel patrimonio artistico, culturale e delle idee che l'Italia porta in dote». E dal quale deve ripartire per rilanciare lo sviluppo.
Secondo Anderson, siamo agli albori di una nuova rivoluzione industriale: abbiamo gli strumenti necessari, e dobbiamo solo imparare a riempirli di contenuti e idee. «È come nel 1985 – spiega – quando la Apple ci diede il Macintosh, i programmi di desktop publishing e una stampante. Allora nessuno di noi era un editore mentre oggi, anche grazie all'avvento della rete, lo possiamo essere tutti. Gli strumenti e le tecnologie digitali hanno creato lo spazio per la cultura, e la cultura è fiorita».
Ora però nuovi congegni fanno la loro comparsa nelle nostre case: «Nel mio studio ho device come stampanti 3D, e macchine da taglio al laser – racconta Anderson - strumenti che mi consentono di essere un designer, anche se con la “d” minuscola. Presto si diffonderanno, avranno prezzi accessibili e saranno alla portata di tutti, - aggiunge - mentre gli utenti impareranno ad usarli, proprio come è avvenuto con il personal publishing. E di nuovo emergerà il talento creando nuove opportunità».
Già, il talento. Perché fiorisca, è necessario imparare daccapo a riconoscerlo e valorizzarlo: «Le aziende sono abituate ad assumere le persone valutandole per i titoli di studio piuttosto che per le cose che sanno fare - afferma Anderson -Invece oggi competenze e abilità si apprendono in tanti modi diversi, non solo a scuola ma anche attraverso la rete, semplicemente usando Google, imparando a documentarsi». Insomma, oggi tutti abbiamo la possibilità di diventare dei “makers”, di fare e anche di sbagliare. Poi è sempre la rete che, per sua stessa natura, rende evidenti successi e fallimenti, stratificando nuova esperienza subito pronta per essere messa frutto da altri.
E tale proposito, il consiglio di Anderson per i giovani italiani è semplice: «Iniziate a giocare – dice - e prendere confidenza con gli strumenti che avete a disposizione perché sono gratuiti, sono semplici da usare e a portata di un clic. E' il momento di agire: solo così se avete buone idee non resteranno tali e diventeranno prodotti di successo».
È un mondo nuovo - quello descritto negli ultimi anni da Anderson - che porta in dote un modo diverso e aperto di fare business. Dove l'impresa funziona e ha successo perché punta su collaborazione e condivisione delle idee, delle risorse e delle competenze. Dove domina un modello operativo che trascende i confini geografici e culturali, fa circolare la conoscenza e - di fatto - si lascia alle spalle la cultura imprenditoriale tradizionale, imperniata sul segreto industriale.
Senza tuttavia bisogno di sostituirla: «Credo che i mercati siano grandi abbastanza per dare spazio ad entrambi i modelli di business - dice il direttore di Wired - Del resto, Android è un business aperto e funziona, ma funziona anche Apple, che invece crede nella chiusura e nel segreto».
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