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Questo articolo è stato pubblicato il 12 marzo 2012 alle ore 08:33.
L'ultima modifica è del 12 marzo 2012 alle ore 09:26.

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Da sette anni Francesco Pizzetti è al vertice del collegio del Garante della privacy, in cui siedono anche Giuseppe Chiaravallotti, Giuseppe Fortunato e Mauro Paissan. Si sono insediati il 18 aprile 2005 e ora sono prossimi al passaggio di testimone.

Professor Pizzetti, lascia una privacy più debole rispetto a quella ereditata sette anni fa?
Quando ho cominciato il mandato poteva esserci la sensazione che le regole della privacy fossero fin troppo invasive, ma il diritto alla riservatezza non era messo in discussione. Oggi, invece, si sta affermando come diritto essenziale il desiderio di trasparenza, di avere informazioni su tutto e tutti. Siamo al rovesciamento di prospettiva.

Avete sempre detto che trasparenza e privacy non sono in conflitto.
Ed è così. Ma la questione non riguarda l'aspetto giuridico del fenomeno, quanto quella che è la convinzione sempre più diffusa tra i cittadini. Si è passati da una privacy come diritto fondamentale individuale, che poteva essere compresso solo di fronte a fondate ragioni di informazione e di controllo pubblico, a una società che assume come centrale il diritto a conoscere, a esporsi.

Anche il Fisco vuole conoscerci di più e si prepara a chiederci altri dati. Troppi?
Più che la quantità di informazioni, mi dà da pensare la rapidità con cui è stata accettata l'idea che i nostri dati siano conosciuti e trasmessi all'Anagrafe tributaria a prescindere da ogni indagine nei nostri confronti. È stata abbracciata l'ipotesi di essere tutti potenziali evasori.

Ma almeno quei dati sono custoditi in maniera sicura?
Possiamo stare ragionevolmente tranquilli che alcuni settori della pubblica amministrazione, e fra questi l'Anagrafe tributaria e il sistema delle Agenzie connesse con il ministero dell'Economia, hanno interiorizzato la consapevolezza di dover adeguare le misure di sicurezza dei propri archivi. Non c'è più l'atteggiamento di qualche anno fa, che vedeva l'Autorità come un peso burocratico, un ostacolo.

Dunque?
Si è fatto largo un atteggiamento di collaborazione. Per esempio, in questo momento è in corso un tavolo tecnico per mettere a punto le misure di sicurezza del sistema Serpico. Aspettiamo che l'agenzia delle Entrate ci dica con chiarezza quali dati chiederà ai cittadini, con che frequenza, in quale forma, come saranno archiviati e chi vi avrà accesso.

Non sembra che la stessa collaborazione ci sia stata con il mondo politico. Il legislatore spesso è andato per la sua strada?
Lo ha fatto quando ha accolto le richieste pressanti di settori che si sono attardati a vedere la protezione dei dati come un ostacolo burocratico, molte volte esagerando in maniera incomprensibile il presunto costo di tali attività, commettendo però l'errore di privarsi della tutela della privacy. È avvenuto, per esempio, quando il mondo delle imprese ha chiesto e ottenuto che le persone giuridiche non siano soggette alle regole della protezione dei dati.

I risparmi attesi dal taglio degli oneri relativi alla privacy sono sovrastimati? Eppure su alcune cifre c'è la firma anche del Governo.
Cifre consistenti ne ho sempre viste tante. Se fossero state corrispondenti al reale, le finanze pubbliche non sarebbero così come sono.

Non la convincono i risparmi conseguenti alla cancellazione del documento programmatico sulla sicurezza, previsto dal decreto legge sulle semplificazioni?
No, assolutamente. Non sono realistici. Se bastasse questo per risparmiare centinaia di milioni di euro, avremmo già messo insieme una quota significativa per il rilancio dell'economia. Altrettanto inattendibili si sono rivelati i calcoli sull'impatto economico del registro delle opposizioni.

A proposito di registro delle opposizioni, lo eliminerebbe?
Così com'è lo considero un fallimento assoluto.

Quanto è difficile trovare sulla rete il bilanciamento tra privacy e altri diritti, per esempio quello della libertà di comunicare?
Molto, perché si tratta di individuarlo in una dimensione priva di regole internazionali, con tecnologie che esplodono sempre di più. Una sfida quasi insolubile.

Occorre un confronto internazionale?
Prima ancora bisogna far emergere una verità, conosciuta, ma negata: i servizi sulla rete sono gratuiti perché c'è un occulto ritorno economico nell'uso dei dati personali. Utilizzo che si nega fare. Gli utenti pretendono che i dati che mettono a disposizione siano usati solo per ottenere il servizio gratuito, sapendo però che non può essere così. Solo se faremo emergere questa verità, potremo iniziare il dialogo per trovare le regole per disciplinare le attività sulla rete.

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