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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2012 alle ore 08:18.
L'ultima modifica è del 15 marzo 2012 alle ore 09:04.

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Ogni anno l'Italia "regala" circa 400 milioni agli altri Paesi europei per fare ricerca e innovazione. Sui 27 miliardi messi sul piatto finora da Bruxelles e finanziati anche con le nostre casse il nostro Paese ha conquistato poco più di 2 miliardi: l'8,43% della torta del settimo programma quadro europeo che fino al 2013 mette in palio 50 miliardi per la ricerca e lo sviluppo.

Peccato che l'Italia partecipi al bilancio Ue con una quota più sostanziosa: il 13,4 per cento. Come dire che con i nostri soldi paghiamo, almeno in parte, ricercatori, atenei e imprese degli altri Paesi per fare ricerca al posto nostro. Perdiamo insomma per strada possibili occasioni di crescita. Peggio di noi fa solo la Francia, mentre altri Paesi – Olanda e Inghilterra su tutti – guadagnano risorse in più. Una beffa a cui ora il ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca, Francesco Profumo, vuole porre assolutamente rimedio mettendo in pista una serie di misure, parte delle quali sono state già approntate con il recente decreto semplificazioni che promette soldi e sostegno a chi vuole andare a gareggiare Bruxelles per conquistare i fondi della ricerca.

La partita è troppo importante: innanzitutto perché il prossimo programma europeo della ricerca - «Horizon 2020» - stanzia la bellezza di 80 miliardi dal 2014 al 2020. E poi perché i fondi che il Governo italiano mette a disposizione ogni anno per la ricerca nazionale sono sempre più ridotti. Da qui la necessità di giocarsi le carte migliori in Europa: «Dobbiamo passare da una politica di inseguimento a una di anticipazione – spiega Mario Alì, direttore generale al Miur per l'internazionalizzazione della ricerca –, per questo stiamo già lavorando da mesi insieme a tutti i ministeri sulle priorità della ricerca italiana da portare insieme a Bruxelles in modo che poi siano trasferite nei futuri bandi per farci così trovare già pronti a competere. Su questo il ministro Profumo crede moltissimo».

Lo dimostrano ad esempio le misure inserite nel decreto semplificazioni appena varato che oltre a snellire e sburocratizzare le procedure per chi partecipa ai bandi riserva almeno il 15% del First – il Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica del Miur – per aiutare le imprese e i centri di ricerca a partecipare ai progetti europei: in sostanza l'Italia mette a disposizione una "fiche" – tra i 200 e i 300 milioni – per dare più forza ai nostri progetti che dovranno essere valutati per il finanziamento. Non solo. L'idea di fondo a cui punta il ministero è quella di aiutare il nostro sistema ricerca a fare subito palestra in Italia sugli stessi fronti sui quali ci sarà la competizione a livello europeo: è il caso, ad esempio, del bando appena licenziato dal Miur sulle «smart cities» a carico dei fondi Pon che stanzia 200 milioni per favorire l'Ict e lo sviluppo sostenibile.

Ma in questo senso va anche la roadmap nazionale delle «infrastrutture di ricerca di interesse paneuropeo» che in pratica fornisce una mappatura delle eccellenze e delle priorità scientifiche italiane. «Non possiamo più permetterci di andare in Europa in ordine sparso – aggiunge Alì –, ma dobbiamo presentarci con poche idee, molto chiare, e sbattere i pugni sul tavolo per difenderle». I dati del resto parlano chiaro: sui 288 bandi censiti dal Miur fino a fine 2011 per un importo di 27 miliardi l'Italia ha ottenuto finanziamenti per 2.221 miliardi pari all'8,43% (se si contano solo i 27 membri effettivi della Ue escludendo gli altri Paesi partner la percentuale sale a 9,46 per cento). A fronte, però, di un esborso del nostro Paese a favore delle casse europee che vale il 13,4% del budget Ue.

I "partecipanti" italiani ai bandi europei sono stati ben 43.697 distribuiti in 24.760 proposte, ma quelle effettivamente finanziate, alla fine, sono state 3.943 con la presenza di 7.122 soggetti provenienti dal nostro Paese (tra imprese e centri di ricerca). A pesare è soprattutto la bassa percentuale di successo delle nostre richieste di finanziamento quando è un italiano a coordinare e quindi a ispirare i progetti di ricerca: siamo addirittura primi in Europa per numero di proposte – ben 5.434 hanno un coordinatore italiano –, ma poi solo il 12,3% ottiene il finanziamento (671), contro una media europea del 16 per cento. Andiamo meglio in alcuni settori della ricerca: come i trasporti, l'energia, lo spazio, le nanotecnologie e l'Ict dove incassiamo circa il 10% dei fondi messi in palio. E meno bene su settori strategici e ricchi di risorse come la salute (7,43% dei fondi incassati sul totale) e le biotech (7,59 per cento). Male infine sulla ricerca libera – il cosiddetto programma «Ideas» gestito dal Consiglio europeo della ricerca – dove il nostro Paese ha conquistato solo il 5,96% dei 3,6 miliardi finora messi in palio dalla Ue.

A livello regionale se si prende in considerazione il programma «Cooperazione» – quello più importante nel settimo programma quadro con 32 miliardi di dotazione complessiva – il Lazio è la regione che conquista più finanziamenti europei destinati all'Italia con il 23,64%, superando la Lombardia (21,45%), il Piemonte (10,65%), la Toscana (9,55%) e l'Emilia (8,31%). Veneto, Liguria e Campania raggiungono il 6% e la Puglia il 5 per cento. Più nel dettaglio la Lombardia – grazie alle fondazioni che coinvolgono università e Pmi - risulta vincente nelle biotech conquistando più di un terzo del finanziamento. Nelle tecnologie dell'informazione il Lazio, grazie alla presenza di grandi enti di ricerca pubblica e di "vivaci" Pmi, ottiene più del 34% dei fondi complessivi destinati all'Italia. Così come risulta molto forte sui fronti della ricerca sull'ambiente, lo spazio e l'energia. Nel settore delle nanotecnologie dei materiali e dei sistemi di produzione e processo, l'eccellenza di ricerca è concentrata nel Piemonte e nella Lombardia che insieme conquistano circa metà dei finanziamenti europei grazie alla presenza di industrie e centri di ricerca a servizio delle imprese. Infine l'eccellenza della ricerca nel settore dei trasporti è individuata - secondo i dati del Miur - prevalentemente in Piemonte, e con densità minore nel Lazio, nella Lombardia e nella Campania.

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