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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2012 alle ore 08:03.
L'ultima modifica è del 15 marzo 2012 alle ore 10:07.

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Bene gli ammortizzatori per i lavoratori, ma per le aziende? La crisi ha portato in dote, oltre all'emergenza occupazionale, anche una grave emorragia industriale nel paese. In questi anni molti storici siti industriali e preziose esperienze imprenditoriali sono andate disperse e in alcuni casi si sono salvate solo grazie all'iniziativa di alcuni isolati cavalieri bianchi, come è successo per la Innse Presse di Milano, o per la piemontese Streglio.

È mancata all'appello, salvo qualche raro caso isolato, una regia condivisa, finalizzata alla messa in campo di piani di reindustrializzazione organici. Non c'è un'esperienza pregressa, e spesso si è proceduto a tentativi. I numerosi sforzi per gestire l'outplacement dei lavoratori e, contemporaneamente, per salvare la destinazione industriale dell'area (tema ancora più cruciale quando è una multinazionale ad andarsene) hanno registrato fallimenti, o non sono mai decollati.

Ultimo caso in ordine di tempo è quello della ex Indesit di Brembate, la cui reindustrializzazione è in ritardo rispetto al cronoprogramma stabilito dalle parti sociali. Creare lavoro significa anche creare le condizioni per fare impresa e soprattutto per impedire che patrimoni industriali tangibili (aree, logistica, macchinari) e intangibili (know how, esperienze, reti commerciali e di subfornitura) non vadano dilapidati nello spazio di una generazione.

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