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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2012 alle ore 08:14.
L'ultima modifica è del 15 marzo 2012 alle ore 09:06.

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Saper gareggiare bene per i fondi Ue della ricerca significa disporre di un bel "tesoretto" da spendere per creare occasioni di crescita e sviluppo. Lo sanno bene alcuni Paesi europei, capaci di aprire meglio di noi il forziere di Bruxelles. Dai dati sulla capacità di attrazione degli stanziamenti targati Ue (presto pubblicati sul sito del ministero: www.ricercainternazionale.miur.it) emergono le ottime performance di Inghilterra, Olanda, Svezia, Belgio e Finlandia che assorbono nella ricerca più di quanto danno in percentuale per finanziare il budget europeo.

Anche se non sempre è possibile distinguere la "nazionalità" di un progetto di ricerca europeo che per definizione deve coinvolgere più Paesi i numeri che emergono dalle classifiche del Miur sono evidenti: il Regno Unito ha conquistato fino al 2011 3,8 miliardi (il 14,55% dei fondi totali a fronte di un impegno sul bilancio Ue dell'11,93%). Meglio ancora l'Olanda che ottiene il 6,73% dei fondi (1,772 miliardi) a fronte del 3,94% di spesa a favore di Bruxelles. E così anche la Svezia con quasi il 4% delle risorse conquistate (993 milioni) contro il 2,47 per cento. Ma anche il Belgio che "vince" il 4,3% dei fondi europei per la ricerca e partecipa per il 3% al budget europeo.

Buone performance per la Finlandia con 597 milioni incassati (2,27) contro l'1,58 di impegno con la Ue. Peggio di noi solo la Francia che incamera quasi 3 miliardi, l'11,25% della torta europea, ma finanziando l'Europa per il 17,61% del bilancio. Un risultato che è controbilanciato dal fatto che quando a coordinare un progetto c'è un team francese la percentuale di successo schizza in alto, al contrario di quanto accade per gli italiani: conquistano il finanziamento il 22% dei progetti firmati da ricercatori d'Oltralpe, seguono quelli olandesi (21%) e tedeschi (16%), mentre quando guidiamo noi i team la percentuale cala al 12 per cento.

«Uno dei grandi problemi dell'Italia è la poca capacità di fare squadra e di presentarsi con priorità e obiettivi comuni agli appuntamenti con l'Europa o con i bandi nazionali», spiega Laura Deitinger, presidente di Assoknowledge, l'associazione aderente a Confindustria Sit che rappresenta le imprese che investono in formazione e ricerca. «Per questo con un grande sforzo abbiamo riunito insieme al Miur mille imprese e oltre trecento tra enti di ricerca e atenei per lanciare undici alleanze tecnologiche su undici fronti della ricerca - aggiunge la presidente di Assoknowledge - che ci aiuteranno a competere e ad aiutare lo sviluppo e la crescita dell'Italia».

L'obiettivo è quello di identificare settori nei quali possiamo diventare leader e non inseguire più gli altri Paesi. «Si tratta di un'iniziativa totalmente nuova che è partita dal basso - conclude Deitinger - articolata in tre fronti operativi: il processo decisionale colletivo condiviso e cioè le alleanze tecnologiche, poi un sistema collaborativo di sviluppo e sperimentazioni delle innovazioni che sono agenzia di ricerca e consorzi Italia e infine un sistema di costruzione sul territorio delle innovazioni realizzato con capitali reperiti sul mercato come nel caso del progetto di "smart territory" Grande Melo».

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