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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2012 alle ore 07:53.
L'ultima modifica è del 17 marzo 2012 alle ore 10:03.

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Fin dall'inizio ho considerato la Spagna, e non la Grecia, il Paese simbolo della crisi dell'euro. Ora che il Governo guidato da Mariano Rajoy, giustamente, fa resistenza all'imposizione di ulteriori misure di austerità, l'attenzione sta finalmente tornando a concentrarsi sul problema vero.

Con la Spagna al centro della scena diventa evidentissima la sostanziale infondatezza di tutta la politica che l'Europa ha portato avanti finora. La Spagna non è entrata in crisi perché ha gestito in modo irresponsabile i suoi conti pubblici.Ora sentiamo dire che l'attivo di bilancio della Spagna prima della crisi era gonfiato dalla bolla, ma Martin Wolf, editorialista del Financial Times, fa notare che all'epoca il Fondo monetario internazionale giudicava quel surplus strutturale.

«Prendiamo i saldi strutturali per il 2007 (l'ultimo anno - per la gran parte - prima della crisi) calcolati dal Fondo monetario internazionale nell'ottobre di quell'anno (in "tempo reale", per così dire)», ha scritto Wolf il 6 marzo. «L'indicatore avrebbe dovuto urlare "crisi": eppure la Spagna registrava un forte avanzo strutturale e l'Irlanda era in pareggio".

Il dubbio è cosa fare adesso. La Spagna ha chiaramente la necessità di diventare più competitiva: forse la riforma del mercato del lavoro che Rajoy sta cercando di far passare servirà allo scopo, ma sono abbastanza scettico; se non basterà quella dovrà riuscirci attraverso una graduale deflazione relativa (o un'uscita dall'euro con svalutazione).

Quello che è chiaro è che ancora più austerità non serve a nulla se non a rafforzare ancora di più la spirale discendente e ad avvicinare l'eventualità di una catastrofe vera e propria.

Lasciate perdere la cinghia
Molte persone mi hanno chiesto una spiegazione semplice e concisa della differenza fra uno Stato e una famiglia: in sostanza, vogliono sapere perché è sbagliato sostenere che in tempi di difficoltà economica lo Stato dovrebbe stringere la cinghia.
Ci sto lavorando su, ma forse possiamo usare la Grecia per illustrare rapidamente il punto.

La Grecia può essere paragonata a una famiglia che ha speso troppo e si è indebitata, costringendo i suoi membri a fare tutte le cose che fa una famiglia quando si trova in una situazione del genere: tagliare tutte le spese non essenziali, rimandare le visite mediche e altre spese importanti, lasciare il lavoro e ridurre il reddito… no, aspettate.

Ovviamente il punto chiave è questo: quando una famiglia deve stringere la cinghia, i suoi componenti non smettono di lavorare. Quando uno Stato stringe la cinghia in un contesto di depressione economica, un mucchio di persone perde il lavoro, e questo è negativo anche semplicemente nell'ottica della tenuta dei conti pubblici, perché un'economia in recessione significa meno entrate.

Potreste sostenere che tagliare la spesa pubblica non incide negativamente sull'occupazione: sì, se avete passato gli ultimi anni in una caverna o in uno dei think-tank della destra americana, senza avere alcun accesso ai dati sugli effetti che produce realmente l'austerity, potreste sostenere una cosa del genere. I risultati delle politiche di rigore in Europa sono il test migliore che si possa avere in macroeconomia e ogni taglio significativo della spesa pubblica, senza eccezioni, è stato seguito da un pesante calo del prodotto interno lordo. Perciò, lasciate perdere la cinghia dei pantaloni: come metafora, non funziona per niente.

(Traduzione di Fabio Galimberti)
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