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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2012 alle ore 08:25.
L'ultima modifica è del 22 marzo 2012 alle ore 06:39.

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Raccontava Tonino Guerra di essere stato catturato dai nazisti per colpa del suo gatto. Nascosto per sfuggire alla leva di Salò, si era imprudentemente avventurato in quel di Santarcangelo di Romagna per dar da mangiare al micio. Un'imprudenza fatale, che gli costò una lunga prigionia in Germania.

Ricordava però Tonino, scomparso ieri proprio a Santarcangelo, dov'era nato il 16 marzo 1920, che la terribile esperienza del lager era, paradossalmente, all'origine della vocazione di artista in senso lato, in primo luogo poeta, e poi sceneggiatore, pittore, scultore, sorgente inesauribile di iniziative culturali, di idee per abbellire le città, di incontri e incroci tra innamorati del bello provenienti da ogni Paese.
Ripercorreva Tonino, con parole che muovevano insieme al sorriso e alle lacrime, la sera della Vigilia di Natale del '44 quando, di fronte ai compagni di sventura infreddoliti, impauriti e affamati, aveva "preparato" un sontuoso piatto di tagliatelle con i funghi... Nel lager? Sì, proprio nel lager: e tutti avevano immaginato a occhi aperti i momenti magici della preparazione della farina, del fuoco che crepitava, del sugo che riempiva di profumo la cucina.

Così Tonino aveva scoperto la sua formidabile, unica, irripetibile capacità di affabulazione. Un magnetismo che gli permetteva, non appena cominciava a parlare, di incantare gli ascoltatori con le sue fantasie, i suoi sogni, i suoi racconti, le sue poesie. "Amarcord", eccola la prima delle parole magiche di Tonino. Una parola che condensa tutto il suo mondo: il passato storico, concreto, carnale, ma avvolto nel calore e nel colore del mito, della reminiscenza favolosa. Una parola espressa nella vera lingua di questo giovanissimo vecchietto con i baffi: il dialetto romagnolo, che si sfarina in bocca come una succulenta piadina da gustare vicino al camino.
Dialetto come porta che apre il mondo. Amore per la propria storia che non è chiusura sul proprio particolare. Ne è stata prova provata, per anni, l'allegra, chiassosa, adorante "carovana" di russi che giungevano in pellegrinaggio nella piccola Pennabilli, sulle colline tra le Marche e la Romagna dove il poeta ha trascorso moltissimi anni, per festeggiare il suo compleanno.

Registi, sceneggiatori, scrittori in arrivo da San Pietroburgo e Mosca, ma anche da Georgia e Armenia, luoghi che Tonino amava sopra tutti gli altri. E ogni russo, ogni georgiano, ogni armeno ripeteva lo stesso mantra: è lo sceneggiatore di Amarcord del suo amico Federico Fellini, il film dei film per tutti.
Dalla poesia alle sceneggiature. Bastano pochi nomi: Michelangelo Antonioni, Francesco Rosi, Fellini, appunto, e poi, fra gli stranieri, Andrej Tarkovskij, al quale fece da guida alla scoperta dei "misteri" italiani (soprattutto Piero della Francesca), e Theo Anghelopoulos, che non iniziava un film senza prima essere passato per lunghi, fruttuosi giorni a Pennabilli. Un paesello che porta fortissima l'impronta del suo illustre cittadino: il parco, la piazza, la fontana, il teatro, le stessa casa del maestro con il suo giardino.

È da qui che iniziavano, in compagnia del fidatissimo (e sordissimo) Gianni le scorribande nella Val Marecchia alla ricerca di case e chiese abbandonate: fra quelle pietre del passato nascevano le visioni di altre storie, altre poesie, altre reminiscenze.
Ha scritto Tonino, per il suo amico Tarkovskij, questi tre versi in dialetto romagnolo: L'aria l'e cla roba lizira / che sta dalonda la tu testa / e la dventa piò céra quand che t'roid (L'aria è quella cosa leggera / che sta intorno alla tua testa / e diventa più chiara quando ridi). Senza saperlo, Tonino ha scritto il migliore dei suoi epitaffi.

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