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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2012 alle ore 08:22.
L'ultima modifica è del 22 marzo 2012 alle ore 06:39.

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Londra abbandona la breve stagione della stretta fiscale, annuncia una sforbiciata all'aliquota marginale sulle persone fisiche (dal 50 al 45% nel 2013), accelera, soprattutto, sul fronte delle imprese.

Con una corporate tax che da aprile cala al 24% per ridursi ulteriormente al 22% nel 2014 e puntare diritta al target del 20 per cento, la Gran Bretagna non sfida solo Dublino, eterna avanguardia della concorrenza fiscale arroccata nella trincea del 12,5 per cento. In questo modo si smarca dal più moderato solco dell'Europa continentale, restia ad adottare politiche troppo aggressive, a scendere nell'arena della tenzone in punta di tasse e balzelli.
Il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne ne fa, invece, la bandiera dell'azione di governo, ricordando a chi non lo avesse ancora compreso che «imposte basse per le imprese significano investimenti e posti di lavoro per il Regno Unito». È il segno di una svolta dopo la cautela innescata dal credit crunch del 2008 e dopo i tagli alla spesa del 2010. Londra ritorna al passato, quando cresceva anche perché era considerata ...un «paradiso fiscale». E proprio questo, ora, minaccia di tornare a essere. Un elemento da non sottovalutare in questo momento estremamente delicato degli equilibri europei.

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