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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2012 alle ore 08:26.
L'ultima modifica è del 22 marzo 2012 alle ore 06:40.

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È nelle città che il binomio cultura e sviluppo – messo bene in evidenza dal manifesto del Sole 24 Ore – può trovare una straordinaria occasione di attivazione e un campo concreto per dimostrare la sua efficacia.

La città, che è oggi la forma prevalente dell'abitare (l'80% in Europa), assume sempre più il ruolo di motore dello sviluppo, propulsore dell'evoluzione e del dinamismo delle comunità, innovatrice di stili di vita.
Numerose analisi ci hanno mostrato che le città contemporanee sono potenti attrattrici della "classe creativa" che ne alimenta la rigenerazione e la competitività. Tuttavia, non possiamo accontentarci di attrarre creatività, ma abbiamo l'obbligo di individuare i fattori che le permettano di diventare componente strutturale, alimento di cultura, generatrice di economie e creatrice di nuova città e non semplice attrattrice di risorse intellettuali.

La "città creativa" è icona della contemporaneità e retorica ricorrente per disegnare visioni, definire politiche e guidare progetti e sono sempre più numerose le città che mirano a dotarsi di cultural hub in grado di renderle maggiormente attrattive e dinamiche, e quindi più vivibili: la competizione per diventare Capitale europea della Cultura lo dimostra. Ma nell'attuale crisi, i flussi finanziari che hanno alimentato la rigenerazione urbana nell'ultimo quindicennio non sono più disponibili in maniera indiscriminata, ma seguiranno logiche selettive.
La rigenerazione delle città non è più facile mercato delle plusvalenze finanziarie, ma la "città creativa" dovrà essere essa stessa motore di sviluppo sostenibile, come ci indica l'Agenda Europa 2020. Le città che investono in cultura dovranno integrare il dominio dei beni collettivi con quello dei capitali privati, offrendo un campo di sperimentazione anche all'innovazione delle procedure urbanistiche, più strategiche e negoziate e meno settoriali e conformative.

Da una urbanistica "subprime" orientata al consumo di suolo e all'erosione delle qualità ambientali dobbiamo passare a una città fondata sul riciclo e su politiche urbane alimentate dall'identità e dall'innovazione culturale. Del resto siamo circondati da nazioni che investono ingenti risorse sulla cultura e la conoscenza per vincere la competizione globale: noi investiamo solo il 2,4% del Prodotto interno lordo in conoscenza, la Francia ne investe il 4,4% e gli Usa il 6,6 per cento.
Il recente rapporto City 600 del McKinsey Global Institute sulle città che più contribuiscono alla crescita del Pil globale, mostra l'emergere di un fenomeno interessante: le 23 megalopoli produrranno solo il 10% della crescita globale, mentre il 50% della propulsione sarà prodotto dalle 577 città medie che si alimentano della loro cultura e creatività e non della pura attrazione di popolazione.

Secondo il Better Life Index elaborato dall'Ocse, nei prossimi vent'anni i settori dominanti dell'economia non saranno le automobili, le navi o l'acciaio, ma l'industria del benessere, di cui la cultura è fattore determinante. Un impegno indifferibile per governanti e gestori, pianificatori e progettisti, promotori e comunicatori, imprenditori e investitori sarà quello di creare città che siano luoghi desiderabili dove vivere, lavorare, formarsi e conoscere, luoghi produttivi ed attrattivi per gli investimenti. Non più città debit driven – basate sulla spesa pubblica –, ma sempre più creative and smart oriented - basate sulla co-opetition tra pubblico e privato, su un nuovo patto sociale.
In tale scenario diventa necessario riconoscere quali siano gli "agenti di creatività" nella generazione di valore – e quindi di sviluppo – a partire dai capitali territoriali, culturali, sociali e relazionali, riattivando il rapporto tra creatività, capitale sociale e capitalismo manifatturiero.

Non basta più agire sui motori di sviluppo, ma dobbiamo mettere a punto un'efficace cinghia di trasmissione che ne distribuisca gli effetti. Le aree di trasformazione urbana – aree industriali dismesse, infrastrutture in disuso, vuoti urbani, centri storici – devono diventare "cluster creativi" capaci di attivare la necessaria filiera tra iniziative economiche, sociali e infrastrutturali per realizzare progetti innovatori, implementati all'interno di strategie di sviluppo fondate sulla economia della cultura.
La nuova e indispensabile agenda urbana europea – sulla quale sta lavorando il ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca – dovrà essere in grado di "ri-attivare la città" attraverso strategie, politiche e progetti multiscalari che sappiano interagire moltiplicando gli effetti e producendo dinamismo, innovazione e trasformazione urbana.

E nell'attuale ricerca di concrete politiche di impulso per uscire dalla crisi, utilizzare lo swing power della città creativa significa attivare quel valore aggiunto capace di attivare il quintuplicatore di investimento potenziale in modo che produca un effetto di accelerazione in grado di farla agire come una global cultural growth machine.
Maurizio Carta è professore ordinario di Urbanistica all'Università di Palermo

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