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Questo articolo è stato pubblicato il 23 marzo 2012 alle ore 08:53.
L'ultima modifica è del 23 marzo 2012 alle ore 08:53.

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La Holland House Library di Londra distrutta dai bombardamenti aerei nel 1940 (Corbis)La Holland House Library di Londra distrutta dai bombardamenti aerei nel 1940 (Corbis)

Guardare alla cultura sempre di più come a «un laboratorio di idee che procede con una logica simile a quella della ricerca scientifica», ovvero che è in grado di aprire «nuove possibilità di senso», di indicare «nuovi modelli di comportamento, azione, interpretazione del mondo». In altre parole, non più solo la cultura da "osservare", ma quella da "vivere", capace di funzionare come leva potente di innovazione.
D'altra parte - fa osservare la ricerca sui musei italiani realizzata da Iulm e Unesco, in collaborazione con il ministero dei Beni culturali, per Aspen Institute Italia – i Paesi che presentano i più alti livelli di partecipazione alle attività culturali sono anche quelli che esibiscono la maggior capacità innovativa. Le due posizioni, se si osservano le classifiche dell'innovazione Ue, praticamente coincidono. La ragione è semplice: «chi, attraverso la partecipazione culturale, si abitua ad aggiornare costantemente il bagaglio cognitivo e le conoscenze, si sottopone a una "ginnastica" che costituisce la premessa ideale per essere pronti a rimettersi in discussione di fronte a situazioni che richiedono soluzioni nuove».

Il riferimento è a una concezione della cultura che va oltre quella del patrimonio storico-artistico in senso stretto e comprende anche cinema, Tv, radio, musica, editoria, design, architettura e pubblicità. Un macro-settore la cui dimensione economica - ricorda la ricerca citando il rapporto europeo Figel - nel 2003 aveva, nella Ue a 27, superato i 654 miliardi di euro, producendo il 2,6% del Pil, contro il 2,1% del settore immobiliare, l'1,9 di quello alimentare, bevande e tabacco, lo 0,5 del tessile.
Perché, però, tale potenziale economico dispieghi tutti gli effetti, è fondamentale affrontare il vero problema, che è quello, prima ancora della sostenibilità economica della produzione culturale, «della sua sostenibilità sociale: se si agisce su quest'ultimo piano – afferma il coordinatore della ricerca, Pieluigi Sacco – anche la dimensione del finanziamento acquista un senso che può andare al di là del trasferimento di risorse a fondo perduto».
Per farlo, però, occorre modificare la prospettiva, passare da una concezione "passiva" del valore culturale, che mette al primo posto la necessità di creare eventi per attrarre pubblico e misura tutto in termini di audience e ritorno economico (nasce da qui il fenomeno delle città d'arte), a una concezione "pro-attiva", che si «concentra in primo luogo sul modo in cui una determinata esperienza culturale agisce sul "bilancio cognitivo" di chi vi partecipa».

Non solo quest'ultimo angolo visuale è quello che assicura forme di valorizzazione economica «realmente efficaci e sostenibili nel tempo», ma al tempo stesso è in grado di agire «sul rapporto - oggi cruciale - tra cultura e innovazione». In tal senso, è anche capace di rivitalizzare il concetto di distretto, perché non si può pensare che in campo culturale ci si possa rifare in modo meccanico al modello industriale. La cultura che crea «nuove modalità di interazione e nuove complementarità tra quelle "teste" di filiere diverse che identificano il nuovo modello di specializzazione territoriale» è così in grado di dar vita al concetto evoluto di distretto, che non punta alla specializzazione mono-filiera, ma all'«integrazione creativa di molte filiere differenti», in cui il valore non è solo la creazione del profitto, ma soprattutto la capacità di aiutare la società «a orientarsi verso nuovi modelli di uso del tempo e delle risorse e così facendo produce a sua volta economie importanti anche al di fuori della propria sfera settoriale specifica».
Tutto questo mal si concilia con l'assetto dei nostri musei, un sistema «ancora lontano dall'obiettivo di poter costituire un elemento di punta di un modello di sviluppo locale orientato alla crescita basata sulla produzione e sull'accesso a contenuti culturali».

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