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Questo articolo è stato pubblicato il 27 marzo 2012 alle ore 08:55.
L'ultima modifica è del 27 marzo 2012 alle ore 09:45.

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Investire sulla cultura è l'unica strada percorribile dal nostro Paese per uscire dalla crisi che, ormai, non è più solo economica, ma investe in maniera profonda e strutturale la radice stessa della nostra società. I freddi dati numerici lo testimoniano: il suo indotto, fatto di turismo, nuove imprese, localizzazioni straniere e investimenti esteri, frutta ogni anno al Paese 68 miliardi di euro, il 5% della ricchezza totale, dando lavoro ad oltre 1 milione e mezzo di persone, il 5,7% del dato nazionale.

Più, ad esempio, dell'intero settore meccanico. Nel triennio 2007-2010, il valore aggiunto delle imprese della cultura è cresciuto del 3%: 10 volte l'economia italiana (+0,3%), registrando un attivo di 13,7 miliardi di euro, su un'economia complessiva di 29,3 miliardi. L'export del settore vale 30 miliardi di euro e rappresenta l'8,9% dell'export nazionale (dati Istituto Tagliacarne, 2011).

Tanto basterebbe, probabilmente, per rispondere a obiezioni come quelle poste da Tomaso Montanari su Saturno, domenicale del Fatto Quotidiano, che paventa svendite del patrimonio del Paese, anche a causa dell'«opacità» nel sistema di concessioni con cui le operazioni sono gestite dai soggetti privati, in presenza di uno Stato «debole». Credo, al contrario, che porre la cultura al centro dell'agenda del governo significhi mettere in campo uno Stato «forte», che impiega mezzi e risorse nella tutela, gestione e controllo del nostro enorme patrimonio materiale e immateriale, sostenuto e reso ancora più incisivo dalle sinergie proposte nel manifesto (nelle quali i cittadini ricoprono un ruolo fondamentale di protagonisti consapevoli).

Ben altra cosa, quindi, rispetto a «Disneyland che forma spettatori passivi e clienti fedeli». Per mettere ancor più a frutto questo valore, come suggerisce chiaramente il manifesto del Sole 24 Ore, dovremmo puntare su tre sinergie. Interne alle istituzioni, prima di tutto, tra governo e regioni e tra i diversi ministeri; tra pubblico e privato, che perseguono l'obiettivo comune della valorizzazione e del profitto non solo economico; tra istituzioni e cittadini, sinergia che produce e si nutre, in una sorta di circolo virtuoso, di un'accresciuta consapevolezza delle possibilità, dei valori, delle prospettive anche economiche e lavorative che offre il sistema culturale italiano.

Tutto questo, naturalmente, a patto che la cultura sia al centro dell'agenda del governo e venga riconosciuta, finalmente, come elemento trainante per lo sviluppo e non come un inutile e dispendioso ammennicolo, alla stregua di un vecchio cimelio di famiglia. Per questo, come «Associazione VeDrò», abbiamo proposto a tutte le forze politiche di far proprio il manifesto del Sole 24 Ore e di farlo diventare piattaforma programmatica comune. Come sanno da tempo molti paesi europei a noi vicini, un luogo vibrante culturalmente attrae investimenti e localizzazioni di imprese innovative. E se è vero, come dice Vittorio Sgarbi sul Giornale, che la cultura non può essere valore solo economicistico, è altrettanto corretto supporre che senza il valore economico non potrebbe sopravvivere.

Angelo Argento è responsabile cultura VeDrò

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Sul Sole 24 Ore Domenica del 19 febbraio è stato lanciato il Manifesto «Per una costituente della cultura», destinato a uno sviluppo a 360 gradi del settore per renderlo davvero redditizio.

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